UN MONDO SENZA PADRONI SI PUO’ IMMAGINARE,

 

 SENZA LAVORATORI NO!

 

Viene ripetuto in continuazione che i padroni sono indispensabili, necessari, insostituibili. Non c’è esperto in economia o professore di scienze sociali che non sostenga che se non ci fossero i padroni sarebbe la catastrofe, il disastro. I lavoratori vengono definiti assolutamente non in grado di sostenere il difficile compito di dirigere un’azienda, se non apostrofati addirittura come lavativi. Si  afferma che il capitalismo è l’unica società possibile, il comunismo un’utopia.

Sul controverso argomento intervistiamo il nostro attivista G.F.

Dom: Come marxista cosa ne pensi della tematica?

Risp: Trovo che in una società dominata dalla borghesia sia normale che i suoi esponenti affermino questo.

Dom: Pensi che sia veramente così o secondo te i lavoratori potrebbero gestire le fabbriche, la società?

Risp:  Facciamo alcune considerazioni: tra i lavoratori ci sono elementi estremamente dotati all’organizzare (non è che le persone, perché sono nate ricche, questo significhi che solo loro abbiano doti organizzative !) che saprebbero benissimo gestire un’azienda, la produzione. Questo lo si vede bene nella nostra società capitalistica quando si formano le cooperative, dove tra i lavoratori che le compongono avviene una suddivisione del lavoro, dove ogn’uno di loro si dedica a mansioni diverse facendo funzionare le cooperative egregiamente

Dom: Perché allora questi lavoratori “con doti organizzative” nelle normali fabbriche non emergono?

Risp:  Non emergono per due motivi: primo, il padrone o i Consigli di Amministrazione vogliono gestire direttamente, di persona la conduzione dell’azienda e degli affari e impediscono a qualsiasi di intromettersi. I padroni assolutamente non vogliono che i dipendenti (e non solo) sappiano come funzioni la loro azienda, quanti soldi guadagna, gli intrallazzi che fa, ecc. Secondo motivo: è il lavoratore stesso “che ha capacità organizzative” che non è interessato a proporsi nella gestione. Perché per lui l’azienda è solo un lavoro, una cosa estranea, una cosa che non gli appartiene. Non si propone perché  come dipendente, come salariato, viene pagato per il lavoro che fa e non vede alcun interesse a proporsi per far guadagnare ancora di più il padrone che già guadagna moltissimo. Questo io lo trovo normale in questo tipo di società. Ma sarebbe tutto diverso in un altro tipo di società.

Dom:  Spiegati meglio!  

Risp:  In una società senza padroni dove la produzione non ha più lo scopo della fobia del guadagno, ma quello del  bene comune, cioè la suddivisione della produzione tra la popolazione, tutti avrebbero interesse al produrre. E qui emergerebbero quei lavoratori portati per l’organizzazione, la distribuzione, di cui parliamo.  Anche qui avverrebbe una suddivisione del lavoro: i lavoratori con capacità organizzative verrebbero eletti dai lavoratori delle fabbriche come rappresentanti, come “esperti”, che, secondo me, senza tanti problemi potrebbero gestire benissimo la produzione. Non riesco a vederci un problema in questo, visto che ciò già oggi, come detto, nelle cooperative accade. Non voglio dire che le cooperative rappresentino un modello di “socialismo”, perché non lo sono, sono solo associazioni capitalistiche di lavoratori che si mettono assieme per gestire i loro affari, i loro interessi, ma è un utile esempio per capire che se anche una persona non nasce padrone,  può avere lo stesso capacità organizzative, dirigenziali.

Dom: Quindi secondo te, una società senza padroni non sarebbe un problema, potrebbe esistere tranquillamente?

Risp: Certamente!  Anche nel Medio Evo i principi, i nobili, il clero, dicevano di essere stati scelti da Dio per comandare, dirigere e che solo loro lo potevano fare. Poi la nascente borghesia, quando è stata sufficientemente potente economicamente e numericamente da andare al potere, ha dimostrato non essere vero. Adesso siamo in una  situazione simile. Al giorno d’oggi i padroni, gli affaristi, non sono più indispensabili come lo erano invece all’inizio dello sviluppo capitalistico, dove le aziende erano a conduzione prevalentemente famigliare con pochi dipendenti. Allora si, in quella fase erano indispensabili. Ma adesso la società capitalistica si è sviluppata, evoluta, adesso esiste la grande industria e le persone che in una nazione veramente dirigono sono forse l’1% della popolazione. Ed è questo 1% che conduce i grandi affari e ne intasca gli enormi guadagni. A questo livello di sviluppo economico, la società non ha più bisogno dei capitalisti per andare avanti, per svilupparsi. Anzi, a questo livello di sviluppo, il capitalismo con i suoi affari che producono crisi continue, guerre di distruzione ecc. diventano un freno, un problema. Le basi economiche, le capacità di gestione per entrare in una nuova società senza sfruttamento, senza guerre e crisi, ci sarebbero tutte. 

Dom: Cos’è che manca allora?

Risp: Il padronato si oppone strenuamente, con tutte le sue forze, contro qualsiasi cambiamento. Usa tutto quello che ha a disposizione: i media, lo stato, i governi, i parlamenti, al bisogno anche l’esercito, per mantenere lo status quo. Credo che si capisca bene che solo con una rivoluzione si può passare ad un’altra società, una società superiore. Questo è quello che pensiamo come marxisti.

 

Dom: Chiaro! Grazie compagno.

-ELEZIONI AMERICANE-

FINANZIAMENTI, MEDIA , ”DELEGATI“:

LA GRANDE IMPRENDITORIA USA SOSTIENE LA CLINTON.

  Sul giornale di luglio scrivevamo a proposito dell’attuale campagna elettorale Usa:  vedremo come  “i grandi ricchi americani decideranno a chi dare i loro cospicui finanziamenti privati e come, sui loro media, tv, giornali, rimarcare e ampliare i difetti e gli scandali di un candidato, anziché l’altro, tutte cose che saranno determinanti per la vincita delle elezioni”.

Dagli scandali in corso e a chi sono stati indirizzati i “cospicui finanziamenti privati” sembra proprio che la grande borghesia americana abbia scelto chiaramente! Al momento in cui scriviamo è in atto contro Trump una vera e propria bufera di scandali! In settembre, i media, dopo aver montato lo scandalo ampliando il sospetto  che alcuni dirigenti dello staff elettorale di Trump nutrissero simpatie per l’odiato presidente russo Putin, adesso, l’autorevole giornale nazionale Usa New York Times ha fatto partire lo scandalo, esibendo documenti, che Trump potrebbe con un trucchetto aver evaso le tasse dal ben lontano 1995. Come se non bastasse, in contemporanea è partito un altro scandalo contro di lui, dove alcuni giornali stanno pompando l’accusa affermando che Trump dal 1998 al 2003 ha affittato un immobile ad una banca iraniana che era sospettata essere di copertura per terrorismo e spionaggio ed era sotto sanzioni americane.

Insomma una corsa al massacro contro il Tycoon newyorchese. E sempre più testate si stanno schierando contro di lui: oltre, come detto, all’ importante e prestigioso New York Times  troviamo grandi giornali e riviste nazionali come il Washington Post, il Guardian, l’Atlantic Magazine e l’Usa Today ed altri minori. Contro la Clinton invece, sembra, nessuno. E le preferenze elettorali si impennano a favore della candidata democratica.

Per quanto riguarda la raccolta di denaro per finanziare la campagna elettorale: “The Atlantic” e “Politico”  dicono che se Hillary Clinton dovesse perdere le lezioni non sarà certo per mancanza di fondi, perché nel mese di agosto la candidata democratica ha raccolto la cifra record di 143 milioni di dollari (ossia il doppio di quanto raccolto da Obama nello stesso periodo per la sua rielezione di quattro anni fa), mentre il suo competitore Donald Trump denunciava averne raccolti solo 56. Una notevole differenza! Un’evidente scelta chiara da parte dei ricchi americani.

Poi c’è la questione, sottaciuta, ma molto importante dei “delegati”. In Usa è previsto che un candidato alle elezioni diventi presidente se conquista la maggioranza dei “delegati” nella nazione. Questi sono in totale 538 sul suolo Usa  e sono suddivisi per  Stati in base al numero degli abitanti. Per vincere le elezioni è necessario raggiungere il quorum di 270. Ebbene, all’inizio di ottobre (al momento in cui scriviamo) il “Tagesschau” riporta che già 209 di questi delegati sono schierati per la Clinton e 154 per Trump. Perciò alla Clinton per  raggiungere la quota di 270 e vincere ne mancano 61, mentre a Trump ne mancano quasi il doppio: 116. Anche su questo ganglio la grande imprenditoria americana ha fatto la sua scelta.

Sulla  base di questi  importanti fattori  infatti i democratici si dichiarano molto soddisfatti di come sta andando la campagna elettorale. Mentre tutt’altra musica si sente sul fronte repubblicano dove, dopo la rinuncia ufficiale della famiglia repubblicana Bush, assieme ad altri politici repubblicani dello spessore di  Brent Scowcroft, ex consigliere alla sicurezza nazionale e Carlo Guiterrez, a sostenere Trump, in agosto anche “100 esponenti repubblicani chiedono di revocare l’appoggio al tycoon” (Blogo – 17 ag. 2016), fino al punto che ai primi di ottobre le dirigenze del partito repubblicano gli chiedono di ritirarsi per lasciar posto al suo vice Mike Pence. Per Trump quindi una campagna elettorale molto difficile, in salita e con non pochi problemi. Ma questa è stata la sua scelta: correre se necessario anche da solo, ma con il suo progetto, le sue idee, la sua esperienza.

Come marxisti, come indagatori del funzionamento della società, cosa possiamo dire di tutto questo?

Chiaramente come sempre l’elezione di un presidente, come in questo caso in Usa, o l’elezione di un governo come avviene  in Europa, è sempre una questione che non riguarda i lavoratori, ma la grande industria, le grandi banche. I lavoratori con questo non hanno nulla a che spartire. Purtroppo però ne vengono sempre coinvolti, orientati, manovrati e pilotati.

Se, come riportano i giornali, Hillay Clinton viene vista dall’opinione pubblica come simbolo del potere politico corrotto e mangia soldi, come appartenente all’Establishment lontano dalla gente, del non cambiamento, del vecchio, ecc, la grande borghesia invece vede in lei tutt’altro: vede in lei un’esperta, una persona seria ed affidabile, competente e sicura nel suo lavoro del perseguire i loro interessi affaristici all’interno della nazione e all’esterno. Ed è questo che conta per un candidato (e questo vale in tutto il mondo) per vincere una campagna elettorale, e cioè  (come da sempre affermiamo) essere dalla parte dei ricchi, non dalla parte della massa proletaria. La massa dei lavoratori  verrà poi coinvolta e orientata sul candidato scelto dai ricchi («Vorremmo convincere quelli di voi che esitano a votare per la Clinton… »  New York Times – 24 sett. 2016) . Trump, pur appartenendo alla grande borghesia, dal punto di vista politico dei suoi colleghi imprenditori,  la sua proposta politica (al di la della retorica elettorale che lo dipinge essere dalla parte dei ricchi, mentre la Clinton da quella dei poveri)  viene vista da loro come populista, cioè non affidabile per i loro interessi e affari, stravagante, imprevedibile e troppo chiusa sui problemi interni del “Make America Great Again”,  rispetto alle battaglie internazionali che l’imprenditoria Usa vuole e deve affrontare. 


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-ELEZIONI AMERICANE-

POCHISSIMI GIOVANI AMERICANI HANNO VOTATO ALLE PRIMARIE.

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Solo il 18% (meno di 1 su 5) dei giovani con diritto al voto ha partecipato.

 

Una tendenza giovanile all’astensionismo che dura da molto.

 

Il padronato dominante gestisce la società attraverso il parlamento, i governi,  ed è sempre con questi apparati che cerca di nascondere il contrasto di classe esistente tra ricchi e lavoratori. Ma è chiaro, cerca di nasconderlo, ma il contrasto di classe rimane forte e in situazioni di crisi emerge prepotentemente. Le masse lavoratrici intuiscono che i loro interessi non vengono perseguiti e l’effetto è la loro progressiva perdita di fiducia nella  politica e nelle istituzioni borghesi con il conseguente progressivo scostamento al voto e nel riconoscersi sempre meno nei parlamenti . Questo logora e riduce il controllo che la borghesia mantiene sul proletariato. E’ il prezzo che la borghesia paga nel gestire le masse lavoratrici assoggettate e sfruttate.

Da tempo evidenziamo questa tendenza. 

Nel giugno 2015 scrivevamo su questo giornale: ” Infatti il numero dei votanti verso i parlamenti nel tempo non è stato di continuo aumento, ma di costante calo. Se per es. prendiamo l’ultima elezione in Gran Bretagna del 7 maggio di quest’anno, troviamo che ha votato il 66% della popolazione (nel 1950 era l’80%). In Germania i votanti alle ultime elezioni del 2013 sono stati il 71,5% ( nel 1953 erano l’86%). Ma dove si vede bene che i lavoratori si sentono presi in giro dai parlamentari sono state le votazioni comunali avvenute nel 2014  in Italia (dove ci sono grossi problemi economici e sociali) nella regione, per così dire “rossa” dell’  Emilia Romagna, dove la delusione (o il disincanto) dei lavoratori ha fatto precipitare il voto al 37,7% (alle comunali precedenti era stato del 68,1% e alle elezioni nazionali del 1948 i votanti erano il 92,23%)! Agli occhi dei lavoratori quindi diventa sempre più chiaro che il parlamento non lavora per  loro, che non è un loro strumento! “

Come marxisti siamo pienamente consapevoli che la tendenza al non voto non significa che le masse siano diventate rivoluzionarie, che abbiano chiaro come funziona la politica, l’economia o il sistema capitalistico. L’astensionismo è solo una reazione a qualcosa che non gli appartiene e che le masse un domani, per un qualsiasi particolare motivo, potrebbero ritornare a votare.  

Però, per il momento la tendenza sta decisamente procedendo e in America sta trovando una notevole conferma soprattutto tra i giovani che hanno praticamente disertato le primarie americane dove sono stati scelti i candidati democratico e repubblicano (Clinton e Trump) per la campagna elettorale presidenziale Usa.

Negli Stati Uniti la sfiducia, l’avversione verso la politica, sembra essere così alta, che i giornali riportano, come  il successo di Trump, in parte, sia dovuto anche all’insofferenza verso l’elite politica, nel senso che Trump presentandosi come uomo nuovo al di fuori dell’apparato politico  ha potuto sfruttare elettoralmente l’astio contro di esso.

Sul forte astensionismo giovanile americano, molto interessanti sono i dati forniti dall’Us Bureau of Census e exit poll, databili fino alle primarie dell’Indiana, unici dati disponibili, che il giornale Lotta Comunista (maggio 2016) riporta. Viene evidenziato come i giovani votanti alle primarie americane siano stati il 17,7% dei giovani aventi diritto al voto (ripartiti tra il 7,7% per i repubblicani e il 10% per i democratici) con un’ astensione alle stelle del 82,3%.  Come più alta invece sia stata l’affluenza degli over 65 con un tasso di votanti del 64,3%  e come le donne andate a votare siano state il 71,3%.  Una fortissima astensione giovanile quindi,

Ma il disinteresse giovanile verso le istituzioni e la conseguente bassissima partecipazione al voto non sembra però essere un fatto isolato di recente data in America, ma una tendenza che dura ormai da tempo. Andando a vedere i dati delle elezioni presidenziali Usa del lontano 1972, i giovani di fascia di età 18-24 anni aventi diritto al voto che avevano votato erano stati il 52%, nel 2012 erano stati il 38%, per poi scendere al 23% nelle elezioni di Midtern  del 2014 (ibidem).   Un calo quindi progressivo e evidente.   

Se pensiamo che i giovani sono il futuro, si capisce bene che un domani (se la tendenza si conferma) il padronato americano si troverà con una base di votanti estremamente ridotta. Questo comporterà per la borghesia un non indifferente problema. Diminuirà la base politica-sociale di consenso  sui cui far reggere le sue politiche imperialistiche, sia interne che esterne. Nell’altro  senso invece, si troverà aumentato quel terreno di avversione e insofferenza verso le istituzioni, dove contestazioni e proteste anche molto forti potranno trovare terreno molto fertile.

L’aumento dell’astensionismo, l’aumento delle proteste, ecc. ovviamente non cambia ne modifica il capitalismo. Non lo può fare. Lo può scuotere, ma non cambiare.

Per cambiare il sistema capitalistico basato sullo sfruttamento e strapieno di contraddizioni ci vuole una rivoluzione.

                 (da Lotta Comunista: maggio 2016)

 

 

Riportiamo una parte dell’articolo che l’estesa organizzazione marxista “Lotta Comunista” ha scritto sul proprio giornale di maggio riguardante le elezioni americane. Ci sembra un ottimo contributo per capire come funziona la politica internazionale nei suoi intricati e nascosti rapporti. Viene evidenziato, traendo dal giornale pechinese “Global Times”, come la borghesia di stato cinese, nei suoi alti funzionari dell’apparato statale, vede l’elezione del prossimo presidente americano e le conseguenze che ne possono derivare nei rapporti tra le due grandi potenze. Un’interessante approfondimento di come le borghesie si rapportano tra di loro.

 

 

 

(…)  Jin Canrong, vicedirettore della Scuola di relazioni internazionali alla RUC, L’università Renmin di Pechino, ritiene più probabile la vittoria di Hillary Clinton a novembre; Trump ha introdotto nella gara un lato di “intrattenimento”, ma gli elettori saranno più “seri” e terranno in conto il “destino nazionale”. Chiunque vinca però, le relazioni Cina-Usa resteranno stabili: con il “boom della sua forza nazionale” Pechino ha più capacità di determinare la traiettoria sino-americana; “il cambio della guida in Usa non porterebbe alcun grande cambiamento strutturale nella relazione bilaterale”

Per Wang Yiwei, direttore dell’Istituto di affari internazionali e del Centro di studi europei, sempre alla Renmin, l’elezione di Trump potrebbe essere positiva: Trump si attiene all’”isolazionismo” in politica estera e non vuole che gli Usa si sobbarchino così tante responsabilità internazionali. All’opposto è Hillary Clinton che aveva avviato la strategia di ribilanciamento in Asia-Pacifico, il “pivot”, puntando al “contenimento” della Cina.

Jia Qingguo, rettore della Scuola di studi internazionali all’università di Pechino, ritiene “improbabile” il successo di Trump. Anche se potrebbe rivelarsi “pragmatico e flessibile” Trump resta un “mistero” per la Cina, e una vittoria repubblicana sarebbe una cattiva notizia; il GOP [“Grand Old Party”: il partito repubblicano - Ndr] ha posizioni critiche verso Pechino e il ricambio dei funzionari causerebbe problemi; una vittoria democratica “avrebbe meno influenza nelle relazioni sino-americane”, che sarebbero più stabili. 

Per Zhao Minghao, dell’istituto Charhar e dell’Istituto Chongyang per gli studi finanziari, ancora alla Renmin, dietro l’ascesa di Trump vi sono “americani risentiti” e un elettorato diviso;  l’ostilità verso l’establishment è diventata una “tendenza universale” nel mondo, nella frustrazione verso èlite manipolatorie. Però molti argomenti anticinesi agitati da Trump sono mero imbonimento da comizi, non si può dire se rappresentano la sua vera linea; in ogni caso le relazioni Cina-Usa “non potranno essere facilmente scosse”, chiunque venga eletto presidente.

Shao Yuqun, direttore del Centro per gli studi americani al SIIS, l’Istituto di studi internazionali di Shanghai, ha una posizione bilanciata. Crede che relazioni sino-americane vedranno “oscillazioni” dopo le elezioni; la posizione “America First” di Trump è fortemente isolazionista, avrebbe un impatto enorme sull’egemonia globale americana, ma non è chiaro se verrebbe davvero tradotta in una politica estera. Hillary Clinton è più prevedibile: per quanto ci si aspetti che sia “dura” con la Cina dovrebbe proseguire la politica di Obama. Ogni tentativo americano di “contenere la Cina” si ritorcerebbe contro gli Usa. Pechino deve proseguire nelle relazioni economiche bilaterali, ma anche valutare a fondo la “tendenza isolazionista” di Trump, adottando gli aggiustamenti necessari.

Zhu Feng, dell’università di Nanchino e direttore di un Centro studi sul Mar Cinese Meridionale, ha collaborato in passato con Wang Jisi, figura chiave della linea più filoamericana in Cina. Anche Zhu prevede “oscillazioni”, ma mentre Trump sarebbe più duro su “economia e finanza” , Hillary Clinton probabilmente sarebbe più polemica con la Cina sulla sicurezza.

Anche Qiu Chaobing dell’Istituto di Studi Americani alla CASS, l’Accademia cinese di scienze sociali, ha una posizione bilanciata. Trump ha una retorica protezionista contro la Cina, ma gli Stati Uniti non potranno capovolgere la loro posizione liberoscambista; una sua elezione avrebbe un forte impatto in Usa, ma “non significherebbe uno sconvolgimento nella politica e nella diplomazia americana”.

Infine Diao Daming, ancora dell’Istituto di studi americani della CASS, non prevede grandi oscillazioni. Trump dovrà affrontare un “rimodellamento” da parte del partito repubblicano, cercherà un compromesso e la sua squadra svolterà verso il “pragmatismo”. La retorica del “nativismo” e dell’”isolazionismo” è un attrezzo comune nelle campagne elettorali; le relazioni sino-americane seguiranno in linea di massima il percorso stabilito.

 

 

 Guido La Barbera


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IPOTESI SULLE CAUSE DEL FALLITO COLPO DI STATO IN TURCHIA.

 

-REAZIONE DEI MILITARI PER IL TROPPO AVVICINAMENTO DELLA TURCHIA ALLA RUSSIA?-

 

 

Improvviso e inaspettato come un fulmine a ciel sereno è arrivato il colpo di stato in Turchia in luglio. Prima del fatto non si erano avuti sentori, ne c’ erano stati minimi segnali ne avvisi. Stranamente dopo il fallito Push i militari arrestati non hanno dato nessuna spiegazione del perché del loro estremo comportamento (o almeno nessun giornale non ne ha dato notizia). Molto strano.

Perciò  i media e i politici di tutto il mondo hanno dato le loro interpretazioni.

L’interpretazione più diffusa è stata che i militari in Turchia, ufficialmente garanti del corso moderno del paese, delle regole democratiche, della laicità, siano intervenuti, come già avvenuto nel passato, contro l’orientamento dispotico intrapreso dalla  governance turca diretta dal presidente Erdogan, che negli ultimi tempi aveva cominciato a perseguitare gli oppositori politici e si era inoltrata un pericoloso percorso di radicalismo religioso.

Queste le interpretazioni  del primo momento.

Però, poco dopo il fallito Push militare sono accadute cose che fanno sospettare che i veri motivi del fatto non siano quelli che giornali descrivono, ma altri.  Il governo turco lentamente ha iniziato a intraprendere una direzione, un suo corso specifico, che potrebbe suggerirci la vera spiegazione del perché  di questo strano tentato colpo di stato.

Subito dopo il fallito Push  Erdogan  accusa  come figura complottista oscura di dirigenza del colpo di stato un suo ex alleato governativo, un certo Gulen, che nel passato, dopo essere entrato in contrasto con lui era fuggito negli Usa. Su questa sua convinzione, ma senza nessuna prova concreta, il capo politico della borghesia turca con un’inconsueta determinazione e fermezza,  ne chiede da subito l’estradizione a Washington, minacciando esageratamente gli Usa di deteriorare le relazioni politiche tra i due paesi se questo non venisse concesso. Questa sua ferma e insistente posizione, quasi ostile verso gli Usa (mai usata prima) è sicuramente una novità nel comportamento di Erdogan. Una sorpresa e come un segnale. 

Poi, alle critiche provenienti dai governi tedesco/ europei, che lo accusano di essere troppo brutale con i falliti golpisti arrestati e di voler per l’occasione introdurre di nuovo la pena di morte in Turchia, Erdogan fermamente e rudemente risponde che gli europei si devono fare gli affari loro e occuparsi dei loro problemi interni e non dei suoi. Anche questo  suo atteggiamento è nuovo, strano. Erdogan non ha mai risposto così  agli europei, il capo turco è sempre stato molto corretto e cordiale con loro, perché la Turchia aspira ad entrare nell’Unione Europea e perché la borghesia turca ha sempre avuto più che ottimi rapporti commerciali e politici con la Germania. Un altro segnale. 

Nel frattempo interessante da osservare è che sia la Russia che la Cina non muovono nessuna accusa al comportamento duramente autoritario di Erdogan nel dopo Push verso gli oppositori. Anche questo ha un suo valore.

Ma il gesto più chiaro, più evidente, che più fa riflettere, è l’incontro circa un mese dopo il fallito Push tra Erdogan e il capo politico della borghesia russa Putin. Cosa molto strana e molto singolare perché la Turchia fa parte della Nato, ospita importanti basi Nato e ci si sarebbe aspettato che Erdogan come primi capo di stato, si sarebbe incontrato con gli alleati Obama, Merkel, Hollande per discutere come stabilizzare la situazione.  Invece no! Si incontra con Putin! Con Obama Erdogan si incontra invece in settembre in Cina, in occasione  del Vertice del G20 a Hangzhou. Anche questo è un forte segnale, come voler dire: Mosca ha per me la precedenza, ha più importanza, voglio tener stretta anche questa mia nuova amicizia!

Infatti dopo l’incontro con Putin, il governo della borghesia turca annuncia che saranno riallacciati appieno i rapporti politici e commerciali tra Ankara e Mosca, rapporti compromessi seriamente dopo il noto fatto dell’abbattimento dell’ aereo da combattimento russo da parte turca. E per l’occasione dell’incontro anche Putin fa la sua parte e annuncia che proseguirà da parte russa la progettazione del gasdotto TurkishStream che passerà attraverso la Turchia. Un grosso affare per Ankara.

Come conferma a questa nuova situazione, in contemporanea, abbiamo che il governo Usa e quello tedesco criticano aspramente e costantemente le decisioni del governo turco sui nuovi rapporti di amicizia tra Erdogan e Putin.

Però i giornali e le riviste specializzate riportano, che questo nuovo rapporto Russia/Turchia in realtà non è una novità dell’ultimo momento, ma era in atto già da tempo, già da molto prima del Push. Può questo avvicinamento aver fatto scattare il Push? Può essere questo in realtà il vero motivo del colpo di stato militare?

E’ più che noto che fatti di un certa rilevanza politica/economica creano reazioni e controreazioni.

E’ evidente che sia la borghesia americana che quelle europee non possono accettare che un loro alleato Nato si avvicini troppo agli avversari. Ed è certamente nella loro logica naturale  attivarsi per impedire che questo avvenga. 

Il fallito colpo di stato militare turco può essere collocato su questa motivazione?

 

I militari golpisti turchi possono certamente essere visiti come garanti della laicità, del corso liberale e democratico della società borghese turca (come già accaduto in passato), ma si possono anche inquadrare come fermi garanti della Turchia all’interno della Nato e fedeli alleati delle borghesie occidentali.

LE IPOCRISIE DEL GOVERNO E DEI MEDIA TEDESCHI

 

VIENE CRITICATO IL GOVERNO AUTORITARIO TURCO NEL DOPO PUTCSH,

MA SI MANTIENE IL SILENZIO ASSOLUTO SULLE ATROCITA’ DELL’AMICA ARABIA SAUDITA.

 

Le tv e i giornali tedeschi hanno criticato aspramente e dato ampio risalto (e ne danno ancora) alla dura repressione che in Turchia il presidente Erdogan ha attuato dopo il Putcsh. Così titola Handelsblatt il 12 agosto: “Turchia sotto Erdogan: Nascita di una dittatura”. Rincara Der Spiegel del 18 luglio: “Licenziamenti nella giustizia turca: Putsch dopo il Putsch. - Dopo il fallito colpo di stato militare il presidente Erdogan fa licenziare o arrestare migliaia di giudici, avvocati e poliziotti. Lo stato di diritto in Turchia è definitivamente alla fine.”. E Die Welt il 22 luglio:“Dopo il Putsch il governo dichiara non validi 10.000 passaporti turchi“.

Tutti fatti veri che vanno decisamente, dal punto di vista borghese, evidenziati e condannati.

Ma com’è la situazione in Araba Saudita, grande amica e alleata fedele dei paesi occidentali e anche della Germania dalla quale importa un sacco di armi. Così ce la descrive Wikipedia in “Diritti umani in Arabia Saudita”: La situazione dei diritti umani in Arabia Saudita è considerata generalmente lontana dagli standard occidentali. Sotto il comando autoritario della dinastia Saudita è stata fatta rispettare rigorosamente la legge della dottrina wahhabita  (un'interpretazione fondamentalista del Corano ). Molte libertà fondamentali messe nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo  non esistono; la pena di morte ed altre pene sono state applicate spesso senza un regolare processo. Inoltre l'Arabia Saudita è entrata nel mirino per l'oppressione delle minoranze religiose e politiche, per la tortura dei prigionieri e per l'atteggiamento verso gli stranieri, le donne e gli omosessuali. Nonostante le maggiori organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch esprimano ripetutamente preoccupazioni per la condizione dei diritti umani in Arabia Saudita. Il regno nega che tali violazioni avvengano”.

Poi Wikipedia entra nello specifico: “Punizione capitale e pene corporali: L'Arabia Saudita è uno di quegli stati in cui le corti continuano a imporre punizioni corporali, inclusa l'amputazione delle mani e dei piedi per i ladri e la fustigazione  per alcuni crimini come la "cattiva condotta sessuale" e l'ubriachezza. L'Arabia Saudita è anche uno dei paesi in cui si applica la pena di morte, incluse le esecuzioni pubbliche effettuate tramite decapitazione. Alcune persone sono giustiziate in prigione tramite fucilazione. Ci sono state notizie di effettuate lapidazioni e crocifissioni . Nel 1997, Human Rights Watch  ha esaminato il caso di Abd al-Karim Mara i al-Nagshabandi che è stato giustiziato dopo la condanna per stregoneria contro il suo datore di lavoro. Diritti delle donne: Rispetto agli standard occidentali, le donne saudite subiscono forti discriminazioni in molti aspetti della loro vita, compresa la famiglia, l'educazione, l'occupazione e il sistema giudiziario. Sulle strade pubbliche alle donne non è permesso di portare una bicicletta o di andarci. È inoltre proibita a loro la guida di autoveicoli. Traffico di schiavi e di esseri umani: Le nazioni della penisola araba sono state tra le ultime a dichiarare fuorilegge la schiavitù. Nonostante questa proibizione formale, persistono casi di schiavitù e di traffico di esseri umani. Nel 1962  l'Arabia Saudita rese illegale la pratica, liberando circa 10.000 schiavi su un totale stimato di 15-30.000. Nel 2005, l’Arabia Saudita è stata descritta dal Dipartimento di stato Usa come il 3º paese con più traffico di esseri umani. Diritti degli omosessuali: Tutta l'attività sessuale fuori dal matrimonio eterosessuale è illegale. La punizione per l'omosessualità, travestimento da donna o coinvolgimento in qualche cosa che faccia pensare all'esistenza di una comunità gay  organizzata, varia dall'imprigionamento, alla deportazione (per gli stranieri), alle frustate e all'esecuzione. Libertà politica: La libertà di parola e di stampa è limitata per proibire la critica al governo o l'approvazione dei valori "non-islamici". Il governo vieta ufficialmente la televisione satellitare,  ma questa legge è in genere ignorata. I sindacati commerciali e le organizzazioni politiche sono proibiti. Le dimostrazioni pubbliche sono anch'esse vietate. Libertà religiose: "La libertà religiosa non esiste", ha dichiarato il Dipartimento di stato Usa nel rapporto 1997  sui diritti umani nell'Arabia Saudita. "L'Islam è la religione ufficiale e tutti i cittadini devono essere musulmani. Il governo proibisce la pratica pubblica di altre religioni".

Questa è l’incredibile situazione sociale e politica vigente in Arabia Saudita!

A tutto questo si deve aggiungere, come già accennato in apertura, i dati  Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) che riportano che nel 2014 l’Arabia Saudita era il quinto Paese ad acquistare armi da Berlino (65 milioni di dollari).

Stranamente tutto questo viene nascosto al grande pubblico tedesco dagli strumenti di informazione e dai politici!

Per quale motivo questa incredibile situazione sociale non viene segnalata pubblicamente? Cosa spinge il governo e i media a non denunciare apertamente le atrocità commesse dalla dispotica famiglia regnante al governo in Arabia Saudita?

Quando i partiti tedeschi, i ricchi che posseggono le tv e i giornali e i giornalisti che vi lavorano denunciano le azioni antidemocratiche in Turchia, è perché sono veramente interessati alla salvaguardia nel mondo della democrazia, delle libertà, della difesa dei diritti umani, delle donne, delle religione ecc. come affermano, oppure sono tutte ipocrisie, i vari “principi democratici” e le varie situazioni vengono utilizzate, strumentalizzate, manipolate a secondo della bisogna  nell’intento di coinvolgere i sentimenti delle masse lavoratrici contro nazioni (cioè borghesie) scomode come in questo caso la Turchia o avversarie come la Cina o la Russia? Mentre non si denuncia e si tace sulle atrocità mediovalesche delle nazioni strettamente amiche e utili strategicamente come appunto l’Arabia Saudita, il Qatar, il Kuwait o gli Emirati Arabi?

I cosiddetti “principi democratici” hanno veramente importanza o è tutta una farsa borghese come al solito?

Dove sono gli “alti valori” a cui questi signori sempre si richiamano?

 

Il marxismo da sempre mette sull’avviso il proletariato contro le “mezze verità” che i ricchi borghesi diffondono. E invita i lavoratori ad approfondire, ad organizzarsi, per portare alla luce l’altra mezza verità nascosta che fa scoprire veramente come stanno le cose, come funziona la controversa società capitalistica e gli interessi che ci girano attorno.


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riflessioni sul BREXIT:

-Uso borghese strumentale del referendum-

 REFERENDUM EFFETTO BOOMERANG

PER L’IMPRENDITORIA INGLESE!

-un referendum che non ha niente a che fare con gli interessi dei lavoratori-

 

Il giornalista Sergio Fabbrini  scrive l’11 sett. sul giornale della Confindustria italiana “Il Sole 24 ore” contraddicendo tutti i suoi colleghi: ”La politica è sempre uno scontro tra élite, mai tra il popolo e queste ultime. Non ci sarebbe il populismo senza élite capaci di mobilitare i sentimenti di insoddisfazione diffusi in larga parte del popolo. (…) Il voto a favore della Brexit, nel referendum britannico del 23 giugno scorso, non è stato l’espressione di una ribellione popolare nei confronti delle tecnocrazie di Bruxelles, ma un vero e proprio regolamento di conti all’interno del partito conservatore”. Parole azzeccate! Questo è quanto pensa anche il marxismo!

Il concepire e volere da parte del padronato britannico un’Europa  “confederale” (cioè non molto “stretta”) anziché “federale” (molto unita) come invece la intendono le borghesie europee continentali è stato motivo continuo di scontro tra Londra e Bruxelles e motivo per cui la Gran Bretagna non ha mai aderito all’euro. Da lungo tempo i vari governi inglesi accusavano le dirigenze UE di imporre a Londra regole economiche e sociali troppo strette, troppo vincolanti, che la svantaggiavano.

     Contro queste regole ritenute troppo sfavorevoli anche Cameron aveva impostato la sua campagna elettorale del 2015, promettendo che se avesse vinto le elezioni avrebbe indetto un referendum per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Si intuiva però chiaramente che lo scopo dell’indizione del referendum non era veramente l’uscita, ma porre una forte pressione di ricatto per ricontrattare con le borghesie continentali le regole svantaggiose troppo strette.  Questo comportamento politico può apparire strano, è invece parte integrante del  gioco nello scontro tra borghesie, è normalità nella loro politica,.

     Dopo la vittoria elettorale di Cameron, con la conseguente indizione (come  promesso) del referendum, la campagna mediatica politica per l’uscita dall’Unione Europea condotta dalle tv e dai giornali inglesi (vale a dire dai grandi gruppi industriali e bancari britannici che li posseggono) ha preso da subito  una particolare accelerazione, intensità. Questo ha sortito l’effetto, come previsto dal governo inglese, di costringere velocemente i vertici UE, nelle figure di Merkel, Hollande , Junker, ecc. a ricontrattare con Cameron le regole inglesi di adesione all’Unione, per evitarne appunto l’uscita. A modifica delle regole avvenuta, sia il governo inglese che tutta l’imprenditoria britannica si dichiaravano pienamente soddisfatti dell’accordo ottenuto, annunciando che la tanto sostenuta uscita dall’Unione Europea, essendo la situazione adesso cambiata, non era più necessaria, e che ora, nell’incombente referendum alle porte, bisognava votare per il rimanere nell’Unione, non più per uscire.    

     Si può ben immaginare la confusione che questo deve aver creato nella testa delle persone,: prima, per anni, una martellante demonizzazione dell’Europa con la necessaria uscita, ben fomentata dai media e dal governo; adesso improvvisamente l’Europa va bene e bisogna rimanerci.

     Il governo, gli imprenditori, nonostante questo giravolta di marcia indietro, erano più che convinti che sebbene fosse stata creata una forte confusione, contraddizione, avrebbero comunque con i media e politici diretto, orientato, gestito la popolazione, che la popolazione li avrebbe sempre e comunque seguiti. E questo ci chiarisce il concetto che l’imprenditoria ha del proletariato: va manipolato, diretto, usato sempre e comunque per i propri bisogni! E diventa anche evidente che queste faccende dei referendum con gli interessi dei lavoratori nulla hanno a che spartire, riguardano  sempre e comunque gli imprenditori, le banche (le “elite” come le definisce Sergio Fabbrini) nei i loro sporchi giochi politici -affaristici! I lavoratori subiscono purtroppo il ruolo di venir trascinati in cose che non li riguardano. 

Però, in questo caso, nonostante il padronato possieda tutti gli strumenti per orientare, dirigere, questa volta non ha funzionato bene! Un cambiamento così repentino, così forte, cambiare nella testa della persone un’idea che gli è stata insistentemente inculcata per anni, questa volta non ha funzionato. E l’astio fomentato contro un’Europa demone è rimasto nelle menti, nonostante che improvvisamente i media dicano tutto il contrario, e questo è stato sfruttato dagli oppositori populisti. E ha vinto il Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.    

La borghesia inglese con il suo governo ha voluto rischiare il referendum. E il rischiare si è trasformato in una catastrofe!

EFFETTO BOOMERANG! Come titoliamo.   

La vittoria dell’uscita ha costretto ovviamente Cameron alle dimissioni. Lo stesso Cameron che ancora pochi giorni prima del voto referendario, pur essendosi (dopo l’accordo con la UE) schierato apertamente contro il referendum da lui stesso organizzato, contro chi lo accusava di averlo fatto,  continuava ad affermare di “non esserne pentito”.

Adesso l’imprenditoria britannica, sgomenta, si lecca le ferite e i suoi rapporti con le borghesie europee si sono deteriorati non poco. Vedremo gli sviluppi.

Toccherà al nuovo governo di Theresa May traghettare l’imprenditoria britannica fuori dall’UE e trovare i giusti compromessi con le borghesie continentali.

L’esperienza  ci dice però che la storia non si ferma qui. In  futuro il governo britannico e la UE avranno molte occasioni per ricontrattare il rientro della Gran Bretagna nell’Unione.

Ma per il  momento il Brexit, anche per le grandi borghesie europee che hanno voluto e costituito la UE, rappresenta un grosso problema: è un fatto che alimenterà le aspirazioni antieuropee di tutti i partiti populisti euroscettici piccolo borghesi. E’ un precedente, un evento che può segnare un inizio di grosse tensioni nel gestire e controllare da parte UE i partiti che aspirano all’uscita dall’Unione, partiti   anche molto estesi come il Front National di Marine Le Pen in Francia, o il Partito della Libertà (Pvv) con a capo Geert Wilters in Olanda, o la Lega in Italia e che nel prossimo futuro qualcuno di loro potrebbe anche vincere le elezioni.   

 

Lo scontro tra borghesie non segna mai un attimo di tregua. Uno scontro “tra elite” riprendendo le parole del giornalista Fabbrini, “mai tra il popolo e quest’ultime”. Uno scontro in cui i lavoratori hanno tutto l’interesse a non lasciarsi coinvolgere.

Brexit: articoli con INSOLITE

CONFERME AL MARXISMO!

 

Da sempre come marxisti affermiamo che dalle nostre analisi e i dai nostri approfondimenti emerge una realtà di funzionamento della società capitalistica, in cui viviamo, che non è quella che i media e i politici ufficialmente descrivono. Per noi marxisti la vera realtà scorre ben diversa: il parlamento non rappresenta gli interessi dei lavoratori; i politici e i governi sono al servizio della borghesia; l’Unione Europea non è l’unione dei proletariati europei, ma l’unione dei padronati europei; gli affari capitalistici producono non solo crisi, ma anche le guerre; nell’ex Urss, DDr ecc. e adesso in Cina, Cuba ecc. non esisteva e non esiste nessun socialismo, ma erano e sono paesi borghesi a capitalismo di stato; per noi Stalin non è stato la continuazione di Lenin, ma Stalin era un controrivoluzionario; ecc. ecc. Ovviamente, andare controcorrente e capire realmente come funzioni la realtà, con i media imperanti che dicono tutt’altro, non è cosa  semplice. Non semplice, ma certamente non impossibile.

Ma può succedere  che ci siano  momenti in cui i giornali della borghesia stessa, contraddicendo  quello che di solito sostengono, confermino inconsapevolmente tesi che sono molto vicine alla visuale e all’analisi marxista. Sono casi molto rari,  eccezioni, ma succede.   

 

Qui ne abbiamo due esempi, uno da un articolo del giornale tedesco “ Die Zeit” e uno dal giornale italiano “Il Sole 24 ore”, organo ufficiale della Confindustria italiana, che contrari al Brexit e molto contrariati per l’esito uscito dal referendum, esprimono straordinariamente concetti che per noi marxisti sono la vera base della politica e delle guerre.

 

  DIE ZEIT online

Brexit: Unternehmer verstecken sich hinter der Politik

Fȕr viele Unternehmen ist der Brexit ein Worst Case. Sie erwarten, dass die Politik nun so mit der EU verhandelt, dass Zugang zum Binnenmarkt und Zollunion bleiben.

Von Bettina Schulz, London

25. Juni 2016, 7:58 Uhr 247 Kommentare

 

Nell’articolo “Brexit: gli impresari si nascondono dietro la politica”, “Die Zeit”, affrontando il tema spinoso dell’uscita della Gran Bretagna dalla UE in seguito all’esito referendario britannico, non afferma più, come al solito (e come è normale aspettarsi) che, essendo che vige la democrazia, la volontà del popolo uscita dal referendum è sovrana e quindi dovrà essere assolutamente rispettata e che tutti, politici, imprenditori e banche comprese,  dovranno attenersi al volere espresso dalla maggioranza. No, per niente. Nel sottotitolo dell’articolo viene riportato: “Per molte imprese il Brexit è un gran brutto caso. Si aspettano adesso che la politica, attraverso la contrattazione con l’UE mantenga l’accesso al mercato unico e all’unione doganale”. In altre parole il giornale ci dice che adesso il mondo imprenditoriale inglese, danneggiato dalla futura uscita dalla UE, fregandosene del risultato referendario stesso, manovrerà e esigerà (da dietro le quinte naturalmente, come dice il titolo) dai politici, che attraverso accordi con l’Europa ne annullino gli effetti in modo che tutto, economicamente e finanziariamente, per quello che è possibile, rimanga come prima. In altre parole si dice che adesso i politici dovranno lavorare non per far rispettare la volontà del popolo uscita dal referendum, ma per far rispettare gli interessi degli imprenditori. E “Die Zeit” non attacca questa posizione di solito definita “antidemocratica”. Inconsapevolmente il giornale ci afferma, ci svela come i banchieri, gli impresari, siano così potenti da poter controllare tutto, politici compresi! E con questo, senza rendersene conto, l’articolo conferma pienamente quanto Marx afferma: «Il potere politico dello Stato moderno non è che un comitato, il quale amministra gli affari comuni di tutta quanta la classe borghese» (Manifesto del partito comunista) e quanto noi marxisti da sempre sosteniamo, che non sono i politici che dirigono la società capitalistica, ma  la dominante borghesia.  

 

IL SOLE 24 ore  

L’ANALISI DOPO BREXIT:

 Ipotesi balcanizzazione per l’Europa

–di Alberto Negri 26 giugno 2016

Le guerre di solito sono precedute da crisi finanziarie ed economiche. Se questa crisi non sarà frenata potremmo assistere a una balcanizzazione dell'Europa perché i valori numerari crolleranno e di conseguenza nessuno sarà più in grado di prevedere quale deriva prenderà il continente. Paradossalmente ma non troppo i governi europei dovranno salvare l'euro e quel sistema bancario e finanziario dominante che è una delle cause di distacco tra cittadini e istituzioni. In poche parole se vorranno salvarsi gli europei, con qualche necessaria riforma, dovranno delegare dei superpoteri alla Banca centrale e a Mario Draghi.

 

Il quotidiano “Il Sole 24 ore” invece, nell’analisi del dopo Brexit, nell’articolo “Ipotesi balcanizzazione per l’Europa” vede nell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea il possibile inizio di un disastro economico che potrebbe sfociare in una guerra. Così inizia l’articolo: “Le guerre di solito sono precedute da crisi finanziare ed economiche”. Questa è una affermazione squisitamente marxista, alquanto insolita da trovare sostenuta su un giornale degli imprenditori, poiché nei media borghesi la tesi che va per la maggiore sulle cause delle guerre è che sono gli uomini-nemici cattivi e sanguinari (gli amici sono sempre buoni), che perdendo il lume della ragione, le causano, come Al Kaida, l’Is, Hitler, Saddam Husseim, Pol Pot, Assad, Putin, ecc.

Di solito siamo solo noi marxisti che andando controcorrente, contrastando questa tesi decisamente fantasiosa degli uomini “cattivi”, affermiamo che la vera causa delle guerre va individuata negli affari capitalistici, nella loro costante ricerca del massimo guadagno e che il carattere delle persone con le guerre non ha niente a che fare, In questo articolo sulle cause della guerra il giornalista concorda pienamente con il marxismo. Ottimo!

 

Prendiamo atto con piacere che ogni tanto anche la stampa non marxista conferma le tesi, per noi realistiche, caratteristiche di Marx. Ci auguriamo che questo avvenga il più spesso possibile, poiché dalle nostre ricerche è veramente così che funziona la società.   


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PERCHE’ SIAMO MARXISTI

E NON ANARCHICI

- esperienze pratiche -

 

Il capitalismo non è solo benessere. Nel suo caotico sviluppo ciclico produce in determinati momenti catastrofiche situazioni. Oltre ad essere basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo con l’effetto di produrre forti  disuguaglianze sociali, fame e povertà, produce anche profonde crisi politiche, economiche e sociali ed è causa di guerre che possono raggiungere ineguagliabili proporzioni, come la realtà dimostra.

E’ quindi del tutto normale, naturale, che tutte queste insanabili e acute contraddizioni generino forti reazioni nelle masse soggiogate e che persone molto attente, riflessive, acute, sviluppino analisi, studi sul funzionamento della società capitalistica ed elaborino politiche e pratiche organizzative per il suo superamento.

Il marxismo e l’anarchismo sono due di queste analisi e pratiche politiche.                                                                                           

Le differenze tra marxismo e anarchismo sono alquanto note, cercheremo di riassumerle nella loro essenzialità: LO STATO: per i marxisti lo stato dopo la rivoluzione proletaria è una necessità. 

Per due motivi: primo, si da per scontato che la borghesia, cioè i ricchi, sconfitti, assolutamente non si arrenderanno, non si rassegneranno alla perdita del potere e faranno di tutto per rovesciare, far fallire la rivoluzione e ritornare al governo. Quindi dopo la rivoluzione, per i marxisti esiste l’assoluta necessità della difesa statale dai fortissimi attacchi che le borghesie internazionali porteranno, come la rivoluzione della Comune di Parigi del 1871 e quella russa del ’17 hanno dimostrato. Secondo motivo della necessità dello stato: dopo la rivoluzione c’è bisogno di una solida organizzazione statale di esperti (appartenenti al partito e non) che sappiano gestire, condurre la società nella produzione e nella distribuzione dei prodotti. Per gli anarchici: lo stato in qualsiasi forma si manifesti è sempre una dittatura. Perciò sempre da combattere ed abolire. Per gli anarchici, se dopo la rivoluzione un’avanguardia si pone il compito di guidare le masse, organizzarle per gestire la produzione e la distribuzione economica, questa  avanguardia cessa di far parte del proletariato ed è destinata alla fine a diventare classe dominante sulle masse stesse. Per gli anarchici lo stato borghese dopo la rivoluzione deve essere sostituito dai liberi consigli operai i quali devono gestire                       

anche la  controreazione della borghesia.

 

 

IL PARTITO: per i marxisti: a guida delle masse proletarie ci deve essere un forte e ben strutturato partito rivoluzionario. Per partito si intende un’organizzazione di esperti in politica, economia, socialità, lotta di classe, ecc. che sappiano guidare, nei momenti catastrofici causati dal capitalismo, le masse proletarie infuriate alla conquista del potere e poterlo mantenere. I marxisti ritengono che le masse da sole non abbiano le conoscenze, non siano in grado di arrivare alla conquista del potere, perché la massa non può essere così specializzata in economia, politica, , ecc. da capire bene come funziona il sistema, e poter organizzare una  rivoluzione, farla e poi reggerla. Nella massa, solo una piccola parte di persone, che è attratta dalla politica rivoluzionaria (così come una piccola parte della massa è attratta dalla medicina, dall’elettronica, dalla fisica, ecc.) si può specializzare, diventare così competente da poter, come detto, ben organizzata, guidare nei momenti disastrosi la massa rivoltosa al potere. 

Per gli anarchici: ogni forma di organizzazione centralizzata di partito è una forma di autoritarismo, perciò decisamente da rifiutare. Sono però del parere che come attivisti anarchici devono introdurre all’interno del proletariato la coscienza di classe, (cioè come il capitalismo sfrutta il lavoratore) per aiutarlo nel percorso rivoluzionario. Gli anarchici lottano poi attivamente contro ogni forma di ingiustizia.

 

Come si vede, due diverse interessanti visuali politiche, da osservare bene e valutare.

 

LA NOSTRA ESPERIENZA DEL PERCHE’ SIAMO MARXISTI.

Noi, nati nel dopoguerra, non abbiamo vissuto esperienze di rivoluzione diretta da poter fare delle riflessioni dirette su come le masse reagiscono nelle situazioni rivoluzionarie. Certo, si può e si deve però attentamente osservare come le generazioni precedenti  in queste situazioni abbiano operato, reagito e come si siano organizzate e mobilitate.  Noi abbiamo però avuto la possibilità in questi passati decenni di accumulare molta esperienza nella lotta sindacale di massa, esperienza che ci può aiutare nel  fare confronti e riflessioni sul come le masse si muovono nelle situazioni di scontro di classe.

Come attivisti sindacali quello che subito balza agli occhi è vedere come il padronato usi lo stato (vale a dire gli organismi pubblici: partiti, governi, parlamento, stampa, tv, polizia, ecc. che si mobilitino sempre a suo favore) per mantenere soggiogate le masse lavoratrici. Certamente, le masse proletarie reagiscono ai colpi e alle ingiustizie che il padronato o i vari governi e parlamenti portano nei loro confronti. E ciò che emerge in queste situazioni di lotta è come le masse lavoratrici abbiano bisogno di capi, come tra i lavoratori emergano dirigenti, che da esperti guidino la lotta di classe sindacale, lotta dura, che non si ferma mai. Altro aspetto importante che emerge è come nei sindacati operai tutti i partiti, parlamentari e non, e tutte le organizzazioni, rivoluzionarie e non, cerchino di formare dirigenti, che guadagnandosi la fiducia delle masse lavoratrici, poi le dirigano. E si nota come le organizzazioni che sottovalutano o tralasciano questo fondamentale aspetto organizzativo lentamente  scompaiono. Altro aspetto interessante è come all’interno del posto di lavoro e dei sindacati dove ci sono attivisti radicali, rivoluzionari, i lavoratori lentamente ma inesorabilmente si aggreghino sempre più attorno a loro. 

 

Tutto questo, secondo noi, va a favore, a conferma, dell’analisi marxista quando afferma che per sconfiggere la borghesia (che è super organizzata) i lavoratori hanno bisogno di una forte organizzazione partitica, con professionisti in primo piano che guidino le masse. Pensare, come affermano gli anarchici, che le masse proletarie da sole siano così esperte, competenti, da essere in grado di tener testa ai ricchi (che come detto, sono incredibilmente organizzati nello stato), pensare che da sole, nei momenti rivoluzionari, possano conquistare il potere e poi tenerlo, l’esperienza, secondo noi, dimostra non essere realistico. A conferma ancora della validità del metodo marxista abbiamo che nelle fabbriche dove come marxisti siamo presenti e ben organizzati, i nostri gruppi progressivamente si sono estesi e si estendono, gli anarchici a causa delle lo idee, praticamente sono scomparsi.

Lo scontro di classe, ieri come oggi, come afferma Marx, è un duro, durissimo rapporto di forza. Da non sottovalutare e da non prendere superficialmente.  


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Festpunkte der marxistischen Wissenschaft

 

-Wir unterbreiten dem Leser erneut einen Artikel der Hefte zu “Theorie und Praxis des Marxismus” 1996  herausgegeben von “Lotta Comunista”. –

 

STUTTURA E SOVRASTRUTTURA

-parte prima-

 

Ad esempio il “comunismo primitivo”, cioè una società senza classi agli albori della evoluzione dell’uomo, era possibile per il basso grado di sviluppo delle forze produttive che permetteva in misura minima una accumulazione di risorse  e obbligava tutti i membri della tribù a lavorare e restare uniti contro la natura molto più forte di loro. Lo sviluppo delle forze produttive, passando da una economia basata sulla caccia alla agricoltura e all’allevamento in misura via via crescente, procurava l’aumento della ricchezza, la nascita della proprietà privata, la separazione in classi, l’introduzione della schiavitù.

“Prima che la schiavitù diventi possibile, bisogna che sia raggiunto un certo livello nella produzione e che sia comparso un certo grado di diseguaglianza nella distribuzione. E perché il lavoro degli schiavi diventi il modo di produzione dominante di tutta una società, occorre un incremento ancora maggiore della produzione, del commercio e dell’accumulazione della ricchezza”(Engels, ‘Antiduhring’). Occorre che il lavoro di un uomo sia tanto produttivo da mantenere, oltre a se stesso, anche il proprio padrone.

Le classi sociali acquistano perciò una determinazione scientifica sulla base della collocazione degli uomini rispetto ai rapporti di produzione (padroni e schiavi). Questi rapporti diventano quindi il fondamento di tutta la società nei suoi molteplici aspetti.

“L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”(Marx, “Prefazione a –Per la critica dell’economia politica”).

Marx va oltre e, applicando la concezione dialettica, spiega come avviene lo sviluppo della società nei suoi aspetti economici (strutturali) e ideologici-politici (sovrastrutturali). “A un dato punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in contraddizioni con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (il che è l’equivalente giuridico di tale espressione) dentro i quali esse forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché a considerare le cose d’appresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno, possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghesi sono l’ultima forma antagonistica  del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociale degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana” (Marx, “Prefazione a – Per la critica dell’economia politica-”).

 

In questo passo è chiaramente spiegato, senza ombra di dubbio, il concetto di determinazione economica sulla politica. Sono gli interessi economici che si fanno valere attraverso le forme politiche, le correnti politiche, le forme di stato.

Festpunkte der marxistischen Wissenschaft

-Wir fahren mit der Vertiefung des falschen Sozialismus fort,

d.h. des als “Sozialismus” getarnten Staatskapitalismus-

 

1991: CROLLO ex URSS e paesi satelliti:

NESSUN CROLLO DEL SOCIALISMO,

MA CROLLO DI NAZIONI BORGHESI

A CAPITALISMO DI STATO!

 

-cioè nazioni in cui gli affari capitalistici venivano condotti da partiti anziché da imprenditori privati-

 

 

Il crollo dell’Urss, dell’ex DDR ecc. è stata l’occasione per il padronato, nemico acerrimo del comunismo e aspramente contro l’emancipazione politica dei lavoratori, per gridare al crollo del comunismo. Un’occasione irripetibile per la borghesia per gridare come il comunismo sia irrealizzabile, un’utopia, solo un sogno, come i fatti concreti dimostrino che un tale tipo di società non può reggere.

Dire che nell’ex Urss e nei suoi paesi satelliti esisteva il comunismo era però una mistificazione, come è una mistificazione dire adesso che in Cina, Cuba, Nord Corea esiste il comunismo. 

In Europa e in giro per il mondo esistono decine e decine di migliaia di attivisti marxisti, operai, impiegati, studenti, casalinghe, pensionati, (che mai appaiono in tv o sui giornali) che come persone specializzate in politica e questioni sociali, spiegano concretamente perché  paesi che si definiscono “comunisti”, come la Cina, Cuba, ecc (e nel passato l’Urss, la DDr  ecc.) comunisti  proprio non lo sono. Come siano paesi capitalistici, a capitalismo di stato, dove, anziché gli imprenditori privati, è un partito (che impropriamente si definisce “comunista”) che conduce gli affari capitalistici. Spiegano come questi paesi, con il comunismo non abbiano niente a che spartire, visto che sul loro territorio i prodotti vengono commercializzati e venduti per trarne un guadagno come in un qualsiasi paese “capitalista occidentale”. E chiariscono, che se in questi paesi esistesse veramente il socialismo o comunismo, come loro vorrebbero far credere, i prodotti verrebbero suddivisi equamente tra la popolazione, cosa che nei paesi citati assolutamente non avviene.  

Il Capitalismo di Stato (o gli affari capitalistici condotti da un partito) è una delle varie forme di stato (sovrastrutture, per dirla con Marx) che caratterizzano la società capitalistica, esattamente come lo è la Democrazia o il Fascismo.

Questo spiegano le decine di migliaia di operai marxisti, impiegati, studenti, pensionati, che come detto, mai appaiono in tv, ne sui media.

E chiariscono che l’ex Urss, l’ex DDr, ecc. come paesi capitalistici qual’erano, erano di conseguenza, come qualsiasi altro paese capitalista, sottoposti alla dura legge della concorrenza. E la terribile concorrenza impone avere fabbriche sempre competitive sul mercato, impone ristrutturazioni, impone aver sempre macchinari nuovi e sofisticati all’altezza della situazione. ALTRIMENTI SI SOCCOMBE!

Ma i partiti burocratici borghesi non “comunisti” al potere nell’ex Urss, ex DDr, ecc. che gestivano l’economia capitalistica non avevano fatto tutto questo, non avevano rinnovato ne l’economia ne la finanza, ne tantomeno ristrutturato le fabbriche e la naturale conseguenza è stata perciò l’inevitabile invecchiamento delle fabbriche, per poi  diventare obsolete, quindi  da non poter più reggere la concorrenza del terribile mercato, e  poi l’inevitabile crollo.   

Stranamente dai giornalisti e dai politici, dagli intellettuali e dai professori, ecc. che vengono ritenuti grandi esperti in politica, economia e socialità, non si sente mai una parola su tutto questo! Ignorano completamente questa realtà! E poi, mai e poi mai citano i criteri concreti, realistici di distinzione tra socialismo e capitalismo, continuando ad affermare falsamente che nell’ex Urss, ex DDr, ecc. esisteva  il “comunismo”, diffondendo anche concetti errati su cosa sia il socialismo.

E’ chiaro! La borghesia, il padronato, i ricchi con a seguito tutti i loro sostenitori, non hanno interesse che i lavoratori sfruttati si emancipino e prendano coscienza. Non hanno interesse che vengano a capire come funziona veramente il sistema con il suo continuo sfruttamento e  le sue enormi contraddizioni. Perché se i lavoratori prendono coscienza, al primo grosso problema sociale potrebbero rivoltarsi, ribellarsi contro il sistema e lottare per una società diversa.

Perciò per il padronato è importante, per mantenere il dominio, che le notizie che i media diffondono siano di comodo al sistema. Notizie  che spesso con la vera verità poco hanno a che fare



ALLEGATO

 

Riproponiamo al lettore un articolo del giornale di aprile, che riteniamo molto importante visto l’interesse che ha raccolto.

 

LA RIVOLUZIONE E’ POSSIBILE?

IN UNA SOCIETA’ CAPITALISTICA CHE SI MUOVE A CICLI :

 

MOMENTI ADATTI ALLA RIVOLUZIONE, ALTRI NO!

 

rivoluzione russa del '17
rivoluzione russa del '17

 

Una delle domande più frequenti che ci vengono poste durante la nostra attività è: “MA LA RIVOUZIONE E’ POSSIBILE?”

A tal riguardo intervistiamo I.L. nostro attivista internazionalista.

Dom: - Cosa ne pensi di questo argomento?

Risp: “Si, effettivamente questa è una delle domande  più ricorrenti. E trovo che sia del tutto normale che venga posta”.

Dom: - Cosa ti viene chiesto?

Risp: “Quando sono in diffusione del giornale  spesso mi viene chiesto perché faccio questo lavoro, cioè perché mi occupo di una politica così radicale  e quale ne sia lo scopo.”

Dom: - Si. E allora?

Risp: “Ma per ‘ARRIVARE ALLA RIVOLUZIONE!’  rispondo io. Spiego  che:  noi siamo contro questo sistema pieno di contraddizioni, sfruttamento, guerre, crisi e che vediamo la possibilità e la necessità di arrivare ad una società superiore. Ma per ottenere questo c’è bisogno di una rivoluzione. E qui, quando affermo queste cose, la curiosità di chi mi ascolta aumenta.”

Dom: - E perché aumenta?

Risp: “Mi chiedono: -Com’è possibile pensare di fare una rivoluzione con le persone che non si interessano dei problemi della società, tantomeno di politica, pensano più a divertirsi? E poi con questo apparato statale, che ha tutto sotto controllo, controlla bene la popolazione e conosce mille trucchi per dargli falsi obbiettivi per distoglierla dai suoi veri problemi?’ -  domande che per me sono più che legittime”.

Dom: - E tu cosa rispondi?

Risp: “Che forse loro non sanno che il capitalismo si muove a cicli. Non bisogna farsi ingannare dal momento in cui si vive. Certo, adesso è così, viviamo in un momento di relativo benessere e la gente non pensa certo alla rivoluzione, questo è normale. Ma  non è sempre stato così e non sarà certo sempre così! Chi si interessa di politica, a chi piace la politica, deve avere la 

 

consapevolezza profonda che la società capitalistica è in continuo movimento: lunghi momenti di espansione con relativo benessere che si alternano a corti, ma intesivi momenti, di crisi, anche molto gravi, che si possono trasformare in guerre. Tutto questo non dipende dalla volontà delle persone, ma è il  movimento oggettivo del sistema affaristico.  La gente comune queste cose non le conosce, ma noi che ci interessiamo di politica, le dobbiamo conoscere. Alla gente comune, che adesso sta vivendo un lungo momento di benessere, sembra impossibile che possano ritornare ancora momenti terribili ed è normale che pensi che la situazione non si modificherà mai più in negativo e rimarrà sempre così. Ma noi marxisti scientifici, esperti del ciclo capitalistico e quindi di realtà, sappiamo benissimo che il mondo degli affari è controverso e orribile e che causerà ancora situazioni terribili. E’ il ciclo capitalistico individuato a suo tempo da Marx e da Engels e confermato mille volte dalla realtà. E noi sappiamo  benissimo che la gente oggi è tranquilla e non pensa alla rivoluzione e ad una società superiore, semplicemente perché la situazione è tranquilla, ma se la situazione cambiasse e si modificasse , si esasperasse, anche le persone si modificheranno e una volta arrivati all’ esasperazione cominceranno in massa a pensare alla società superiore. E quello sarà il momento della rivoluzione! Esattamente come hanno fatto a suo tempo i bolscevichi con successo.” 

Dom: - Quindi ci sono momenti adatti alla rivoluzione e altri no?

Risp: “Esattamente! E’ questo che sfugge a molti di sinistra. E anche loro fanno l’errore di pensare che la situazione tranquilla e di relativo benessere in cui viviamo rimarrà sempre così. Quindi non capiscono perché si parli di rivoluzione, di società superiore. A loro sembra strano che ci siano attivisti rivoluzionari “veri”, cioè che vedono un futuro realmente rivoluzionario e si mobilitino per questo”.

 

Grazie compagno.

 

“Der kommunistische Kampf” – aprile 2016


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ALLEGATO

 

Riteniamo molto importante chiarire costantemente le importanti differenze politiche tra il rivoluzionario LENIN  e il controrivoluzionario STALIN, differenze che non vengono chiarite nelle lezioni . Per questo riproponiamo un articolo del nostro giornale uscito nel mese di aprile 2016

 

 

-COSA NON VIENE CHIARITO NELLE LEZIONI UNIVERSITARIE-

LENIN RIVOLUZIONARIO:

LA NECESSITA’ DELLA FASE TRANSITORIA DOPO LA RIVOLUZIONE ASPETTANDO LE ALTRE RIVOLUZIONI

 

 

STALIN CONTRORIVOLUZIONARIO:

 

IL RITORNO ALLA POLITICA BORGHESE CON L’ELIMINAZIONE DELLA FASE TRANSITORIA DOPO LA RIVOLUZIONE E DICHIARANDO LA STATALIZZAZIONE, CIOE’ IL CAPITALISMO DI STATO COME “COMUNISMO” 

 

Chi nelle università o nelle scuole assiste alle lezioni sul marxismo o sulla storia, si rende subito conto di una cosa: che i professori fanno tutto un calderone sulla vicenda della rivoluzione bolscevica russa del 1917. La questione viene trattata molto superficialmente e spesso senza cognizione di causa. Non vengono chiariti i contenuti dell’eccezionale evento storico, non viene spiegato il contesto in cui l’evento  accade, ne tantomeno i suoi veri scopi. E soprattutto non viene chiarita l’importante differenza politica tra Lenin e Stalin. I professori nelle lezioni riprendono i concetti comuni che vanno per la maggiore nell’opinione pubblica, opinione costruita dai Mass Media, cioè da giornalisti supponenti, ma ignoranti o da pennivendoli al servizio della borghesia. La borghesia poi, cioè i ricchi, si incarica di diffondere, attraverso i suoi giornali, tv, politici, storici, preti, ecc. questa comoda e distorta realtà.

Viene perciò normale pensare che anche i professori riprendano questa deformata realtà per comodità.  Comodità che per loro vuol dire non impegnarsi in ulteriori approfondimenti, non fare alcun altro sforzo mentale, ma soprattutto non andare controcorrente.

Ben diversa è la situazione per noi che abbiamo bisogno di capire!

STALIN NON E’ STATO LA CONTINUAZIONE DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA DI LENIN, NE DEI BOLSCEVICHI! Anche se Stalin, furbescamente, nella sua politica borghese controrivoluzionaria ha continuato a mantenere tutte le parole tipiche comuniste, come “Stato socialista”, “compagni”, “partito comunista bolscevico”, “Comunismo”, ecc. ecc.

 

E la conferma del tradimento borghese staliniano e del suo cambio di politica è dimostrata anche dal fatto che per poterla attuare Stalin ha dovuto far eliminare fisicamente quasi tutti i dirigenti bolscevichi.

 

 

Alla morte di Lenin (1924) 22 erano i membri rimasti (sui 31 di cui si hanno notizie) del Comitato Centrale del Partito Bolscevico che promosse e diresse la rivoluzione d’ottobre del ’17. L’80% cadde sotto i colpi della controrivoluzione staliniana.

 

 

NIENTE DI PIU’ FALSO E ARTIFICIALE !

LA SOSTANZA  DELLA ALLORA DURA BATTAGLIA ALL’INTERNO DEL PARTITO BOLSCEVICO ERA BEN ALTRA!

 

Chi approfondisce può facilmente scoprire che i bolscevichi con Lenin affermavano che la rivoluzione russa non era ancora il socialismo. Ma solo il primo passo verso il socialismo! Un primo momento verso una rivoluzione generale che avrebbe portato poi,  all’economia comunista. In questo primo passo, il proletariato rivoluzionario russo giunto al potere,  aspettando le altre rivoluzioni, avrebbe gestito l’economia russa con il capitalismo di stato. I bolscevichi sottolineavano e  ripetevano  in continuazione che questa fase di governo operaio a capitalismo di stato era inevitabile nel percorso verso il comunismo e sarebbe stata solo transitoria, temporanea.

Ma alla  morte di Lenin, Stalin con la sua teoria del ”Socialismo in un paese solo”  stravolgerà tutto! Affermerà  falsamente che  subito dopo la rivoluzione si era instaurato il comunismo! In altre parole sosterrà  che il capitalismo di stato, cioè la statalizzazione, era il comunismo! Ed è qui che comincia la furiosa battaglia contro i capi bolscevichi. Nella falsità che si era già nel socialismo Stalin dirà che la fase transitoria non era più necessaria e che quindi non era più da considerarsi. Di conseguenza sosterrà che le altre rivoluzioni proletarie non erano più necessarie e quindi scioglierà la 3° Internazionale Comunista costituita poco prima da Lenin.

 

Nella sua menzogna del “Socialismo in un paese solo” Stalin non si accorgeva (oppure nascondeva)che nella Russia rivoluzionaria tutto funzionava capitalisticamente: i prodotti continuavano ad essere venduti (e non diffusi tra la popolazione, come avrebbe dovuto essere nel comunismo). I prezzi delle merci si alzavano o abbassavano a secondo della domanda e dell’offerta come in un qualsiasi altro paese capitalistico. Nascondeva che esisteva ancora un proletariato (cosa che nel socialismo non esiste più) con un salario e con i suoi sindacati  e che le imprese e le banche statali (anche le banche nel socialismo non esistono più, perché i prodotti che vengono distribuiti tra la popolazione e non più venduti non hanno bisogno delle banche) erano condotte e dirette affaristicamente da componenti del partito invece che da privati.

Come detto, tutte queste fondamentali nozioni  nelle lezioni non vengono chiarite, oppure vengono sottaciute o chiarite in minima parte. Tutto questo crea confusione, non aiuta a capire come funziona questa società, ma soprattutto fa il gioco della borghesia.

 

“Der kommunistische Kampf” – aprile 2016

 



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