100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA
ATTUALITA’ della RIVOLUZIONE D’OTTOBRE.
-ESPERIENZA STRAORDINARIAMENTE PREZIOSA-
LA NECESSITA’ DEL SUPERAMENTO DELLA SOCIETA’ CAPITALISTA.
Per chi aspira ad una società superiore la rivoluzione d’Ottobre è senz’altro un’esperienza esemplare, da comprendere e da perseguire. L’assalto rivoluzionario russo è un insegnamento di come oggi i comunisti si devono orientare. Il movimento rivoluzionario impara dalle sue battaglie, dalle sue vittorie, ma anche dalle sue sconfitte.
Viene diffusa la falsa concezione che l’evento rivoluzionario essendo avvenuto 100 anni fa sia un episodio del passato, non più di attualità ne ripetibile. Si giustifica il tutto affermando che la società si è evoluta e che le rivoluzioni siano stereotipi.
In realtà le leggi economiche del profitto individuate da Marx sono più che mai attuali, e soprattutto sotto gli occhi di tutti ne sono le pesanti conseguenze e contraddizioni: guerre in Siria, Iraq, Libia, per non parlare di Afghanistan, Yemen, ecc. volute e cercate dai paesi “civili” occidentali per spartirsi i lucrosi mercati di nazioni periferiche prendendo a pretesto “la lotta al terrorismo”. Ma anche in Europa la situazione non è poi così allegra. Intere popolazioni vivono situazioni drammatiche venendo sacrificate all’altare del profitto da banche “dell’Europa buona e del benessere” che divorano il tenore di vita di milioni di famiglie in Grecia, Spagna, Portogallo, Italia. Non molto meglio è la situazione dei giovani europei - come in continuazione documentiamo. Il lavoro precario, i contratti a termine, i lavori atipici dilagano e la loro ulteriore espansione è perseguita con sempre maggiore pressione dalle imprese, e i peggioramenti sono già da tempo nei programmi di tutti i governi europei senza distinzione di colore o partito politico. Stessa sorte tocca ai salari d’ingresso dei giovani, in abbassamento continuo. Come detto, non bisogna andare poi tanto lontano per cozzare il naso contro il capitalismo-sfruttamento, definito ingenuamente – o strumentalmente “superato”.
La situazione inaccettabile ci fa ritornare quindi all’ottobre rivoluzionario. Come può questo evento, un avvenimento con l’obbiettivo di cambiare il mondo avvenuto 100 anni fa, aiutarci oggi?
Per capire la vicenda straordinaria dell’Ottobre, bisogna innanzitutto inquadrare la rivoluzione russa nel contesto internazionale delle lotte delle classi e assolutamente non isolarne il fatto, altrimenti si da una mostruosa deformazione della rivoluzione stessa. La guerra imperialista del 14-18 fu “il motore”, scrive Lenin, che mise in attività rivoluzionaria la lotta di classe proletaria a livello internazionale, della quale la rivoluzione russa ne doveva essere il detonatore, con obiettivo ed epicentro specifico la rivoluzione in Germania. Iniziata in Russia, la rivoluzione doveva trovare il suo completamento nell’insurrezione in Germania, solo allora il tentativo politico russo si sarebbe completato e fuso con l’obbiettivo economico tedesco per diventare socialismo. Solo così sarebbe stato possibile il salto storico.
La causa che ha partorito l’Ottobre rivoluzionario è stata quindi la crisi bellica con la conseguente rottura dell’ordine mondiale allora esistente. La Russia era l’anello debole della catena delle potenze capitaliste-imperialiste. Ne era quindi il primo passo della rivoluzione internazionale. La rivoluzione russa non poteva perciò essere concepita in senso nazionale, non avrebbe avuto alcun senso nella strategia socialista portare il proletariato russo al potere per condurre un capitalismo nazionale russo.
Con la sconfitta dell’insurrezione spartachista in Germania nel 1918 un anno dopo l’Ottobre, la rivoluzione internazionale iniziata a Pietroburgo si trovò isolata. Iniziava così il lungo periodo dell’attesa, ossia il tempo dell’organizzazione attraverso la III° Internazionale delle rivoluzioni che avrebbero dovuto insorgere nel seguente momento di rottura rivoluzionaria. Nel frattempo i rischi che in Russia insorgesse una controrivoluzione nazionalista erano notevoli.
Il nazionalismo russo controrivoluzionario arriverà. E si maschererà di stalinismo. Sotto i colpi nefasti della difesa “del socialismo in un paese solo” stalinista, l’obiettivo del proletariato rivoluzionario russo e internazionale verrà distorto, non sarà più la rivoluzione mondiale, la sola che poteva permette il socialismo, ma si fermerà alla sconfortante gestione capitalista dell’economia statalizzata russa. La rivoluzione internazionale regredirà perciò nel nazionalismo a capitalismo di stato russo, spacciato per “socialismo”. Era la vittoria della controrivoluzione.
Come conseguenza il filo rivoluzionario subirà un indebolimento, ma non certo una rottura, e nel dopoguerra riprenderà con nuovo vigore. Il relativo benessere del giorno d’oggi induce erroneamente a pensare che la prosperità proseguirà ininterrottamente, per sempre, e che le grandi contraddizioni del passato siano ormai definitivamente alle spalle. In Europa le attuali guerre vengono viste lontane, come un qualcosa di un altro mondo che non riguarda. Discutendo con le persone emerge questa convinzione. Ma contemporaneamente trapela il timore che una crisi o una guerra improvvisamente si possa spostare anche nel recinto di casa. E’ “la natura ciclica del capitalismo” se questo accade, “sono inevitabili in questa società” affermiamo noi con crudo realismo. Ed ecco che questi eventi riaprirebbero di nuovo la situazione di “rottura rivoluzionaria”. E la preziosa esperienza dell’Ottobre rivoluzionario diventerebbe subito attualità, di estrema necessità.
100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA
GRANDE ORGANIZZAZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO
LOTTA COMUNISTA
LOTTE E CONFERENZE
Nello scorso numero di ottobre abbiamo ampiamente descritto LOTTA COMUNISTA, estesa organizzazione marxista rivoluzionaria extraparlamentare. E’ l’anniversario dei 100 anni della rivoluzione bolscevica e vogliamo capire se quell’evento si potrà ripetere.
In questi cento anni trascorsi, le contraddizioni capitalistiche che sconvolsero l’allora epoca non solo non sono scomparse o scemate, ma si presentano aumentate esponenzialmente. La classe lavoratrice sfruttata mondiale, che all’epoca della rivoluzione russa era relativamente ristretta sul pianeta (sui 100 milioni in totale) oggigiorno è enormemente cresciuta, diventando con lo sviluppo dei nuovi paesi emergenti, secondo i dati ufficiali, addirittura due miliardi. Possiamo quindi considerare che, se Marx vedeva nella classe operaia l’elemento che realizzerà la rivoluzione, possiamo oggi verificare che questo elemento è diventato ancora più deflagrante, essendo diventato chiaramente l’ampia maggioranza della popolazione attiva e in continua espansione.
Quindi oggi i presupposti esplosivi per gli assalti rivoluzionari contro le borghesie sfruttatrici sono oggettivamente aumentati rispetto a 100 anni fa, momento della rivoluzione russa.
Ma i lavoratori sfruttati e sottomessi che a malavoglia sopportano le angherie della classe dominante hanno bisogno di guide, di esperti per poter combattere e con successo superare l’ingiusta società per eliminare le problematiche e le catastrofi che essa produce. Ed ecco quindi nella società il naturale formarsi di organizzazioni che lottano, propongono e si battono per un diverso mondo sociale.
Siamo convinti che LOTTA COMUNISTA sia la più efficace tra queste organizzazioni. Il suo programma di deciso superamento del sistema capitalistico, la sua enorme organizzazione, il governo operaio con la necessaria dittatura del proletariato sui borghesi reazionari, in linea con Marx e i bolscevichi che propone, il suo astensionismo parlamentare e il suo intenso lottare quotidiano con e tra i lavoratori, ci fa senz’altro dire che di certo è nella direzione giusta per l’assalto rivoluzionario, in analogia con i bolscevichi.
In occasione del centenario dell’ottobre bolscevico l’organizzazione ha indetto una serie di conferenze in tutte le città delle nazioni in cui è presente. La partecipazione registrata è stata imponente, molte migliaia di persone hanno dato la loro adesione: lavoratori, studenti, sindacalisti, professori, pensionati, casalinghe.
Questo a sottolineare la fiducia che questa organizzazione si è conquistata tra le masse proletarie. Non trascurabile è il fatto che il nucleo originario di Lotta Comunista contava negli anni ’50 solo un pugno di militanti. E adesso è così estesa.
Non solo, ma importantissimo, i suoi aderenti e attivisti
stanno in questo momento guidando e dirigendo fortissimi scioperi nella città industriale-portuale di Genova, una città paragonabile ad Amburgo qui in Germania. Anche questo è un elemento di non poco conto per capire come agisce nella pratica un’organizzazione rivoluzionaria.
Da come si sviluppa e visto il successo, pensiamo che effettivamente le posizioni di LOTTA COMUNISTA siano il futuro del movimento rivoluzionario proletario. Senza dubbio un esempio da seguire per chi lotta per una società superiore.
Ai lavoratori genovesi e a Lotta Comunista va tutta la nostra solidarietà e appoggio per le dure lotte in corso.
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CATALOGNA - KURDISTAN
COME DIETRO AI REFERENDUM CI SONO I GRANDI GRUPPI INPRENDITORIALI – FINANZIARI.
E COME I LAVORATORI VENGONO MANIPOLATI, STRUMENTALIZZATI
La vicenda del referendum sull’indipendenza della Catalogna ha catturato con grande clamore l’attenzione di tutta l’Europa e oltre. Ad un dato punto lo scontro è sembrato subire un’escalation, dopo che il governo di Madrid come reazione al voto plebiscitario uscito dal referendum aveva tolto lo status di regione Autonoma alla Catalogna e come controrisposta il governo regionale catalano aveva proclamato l’indipendenza. Ma dopo questi fatti eclatanti, entrambe le parti hanno ritenuto opportuno abbassare i toni e lasciare che lo scontro proseguisse a livello di manifestazioni di piazza pacifiche, per chi è a favore o contrario all’indipendenza, anziché fomentare ulteriori escalation, anche militari.
Di fatto il governo regionale catalano con gli industriali e le banche che lo sostengono, dopo il no perentorio sull’indipendenza posto dal governo di Madrid, non aveva realisticamente alcuna chance di successo di ottenere la sovranità, visto che al no del governo centrale si era unita la UE intera più gli Stati Uniti. In aggiunta il governo spagnolo Rajoy per neutralizzare una presunta reazione catalana si era premunito preventivamente di destituire sia il presidente del governo regionale catalano Puigdemont sostituendolo con Soraya de Santamarìa, vice di Rajoy stesso, e il capo della polizia catalana (i Mossos) Josep Trapero, annullando così i vertici che potevano dirigere una eventuale intensificazione della lotta per l’indipendenza.
La proclamazione di indipendenza catalana avvenuta il 27 ottobre a Barcellona appare essere stato più un atto politico formale di dovere di riconoscenza da parte del vertice catalano verso tutti coloro che nelle piazze lo sostenevano, che una sfida vera e propria contro l’Europa.
Il referendum curdo di indipendenza in Irak invece è passato più in sordina sui media, trovando posto negli articoli secondari dei giornali e dei notiziari.
Per l’analisi marxista le due vicende hanno un contenuto molto similare, perché entrambi i referendum presentano una sostanziale analogia: coprono una lotta storica tra le frazioni delle borghesie regionali catalana e curda contro i rispettivi governi centrali. L’obiettivo reale dello scontro, ovviamente non pubblicizzato, è, come sempre, ottenere più autonomia fiscale (in altre parole più soldi) per banche e imprese. Per dar forza a questa richiesta, vengono imbastite e fomentate come forza d’urto le proteste popolari. Il mero ruolo dei lavoratori perciò in queste avventure è di venir strumentalizzati, manipolati, diretti dalle borghesie locali. A fine lotta, divisi e maltrattati, potranno vantare il triste onore di aver lottato (sich!) inconsciamente per i ricchi sfruttatori. Sono lotte che (come nelle guerre) evidenziano come le borghesie per ottenere i loro cinici e spregevoli interessi non abbiano alcun scrupolo nel fomentare ed utilizzare i lavoratori spingendoli negli scontri più sanguinosi (di già ben istigati) odi tra etnie, religioni, rivendicazioni di indipendenza, ecc..
E questo spiega il perchè il governo di Madrid come rappresentante della borghesia nazionale spagnola e quello di Bagdad per quella irachena, abbiano risposto negativamente, e rigettato senza alcun problema “democratico” la cosiddetta “volontà popolare” espressa nei due referendum. E perché accusino i due referendum di “provocazione”, o addirittura di “atto criminale” (Rajoy 26 ott.) intendendo per “provocatori” naturalmente sia i politici, ma anche i ben nascosti industriali e banchieri responsabili di tutto questo. Perché ai due governi centrali borghesi è perfettamente chiaro che i due referendum sono il risultato di strumentalizzazioni. Sono loro stessi ad usare questo sistema quando lo ritengono necessario e favorevole ai loro scopi..
Adesso per i politici di entrambe le fazioni, a questo punto, com’è prassi, si tratta di trovare le giuste mediazioni e compromessi e le questioni lentamente si chiudono.
Le due situazioni hanno avuto però, come è noto, un inaspettato risvolto differente. Se da una parte i rivoltosi curdi hanno accettato la mediazione di Bagdad e si sono ritirati dalle zone del Kurdistan conquistato militarmente contro l’Isis, per la Catalogna il contraccolpo politico è stato notoriamente catastrofico. La forzatura referendaria delle imprese catalane attraverso il governo regionale la possiamo quindi quantificare come una debacle totale per gli impresari della regione, una “lezione”. Il no! secco di Madrid, ai nostri occhi marxisti, lo si può interpretare come fermezza, come monito della grande imprenditoria europea, cioè la UE (in perfetta sintonia politica con Madrid) a tutte le borghesie regionali europee (es. lombardo-venete in Italia in questo momento) che potrebbero esigere qualcosa di più di autonomia. In altre parole il messaggio sarebbe: non vengono concessi più soldi a nessuno!
Per la soluzione della vicenda del contenzioso tra il Kurdistan iracheno e Iraq invece, fondamentale è stata la mediazione degli Stati Uniti, i quali supportano sia il governo di Bagdad che gli indipendentisti curdi, i quali nella guerra contro lo Stato Islamico sono stati ampiamente riforniti di armi dagli americani perché combattessero i militanti Isis. Entrambe le parti hanno accettato un compromesso (non ancora noto) sotto garanzia Washington.
Come sempre ripetiamo, il padronato ha interesse a dividere i lavoratori, servirsene, metterli uno contro l’altro.
Bisogna evitare le trappole della borghesia quindi, i marxisti questo lo possono fare.
CATALOGNA – KURDISTAN
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I LAVORATORI NON HANNO PATRIA
I PROLETARI SONO CONTRO TUTTI I GOVERNI BORGHESI
NEI REFERENDUM IN CATALOGNA E KURDISTAN, I LAVORATORI UTILIZZATI NELLO SCONTRO TRA BORGHESIE
La classe lavoratrice è diventata da tempo la stragrande maggioranza della popolazione nelle nazioni. Negli Stati Uniti per es. i salariati raggiungono perfino il 90% della popolazione attiva, mentre la grande borghesia risulta essere meno dell’1%.
La questione delicata, la constatazione realista è che, anche se il proletariato si trova in questa posizione di quasi totalità della popolazione, non ha però coscienza, non ha consapevolezza di quali siano i suoi veri interessi politici di classe.
E’ presto spiegabile il perché. La classe dominante borghese imprenditoriale, chiaramente super minoritaria, per poter perpetuare lo sfruttamento sulle masse ha bisogno che i lavoratori non abbiano percezione della loro situazione di sottomessi, di sfruttati, altrimenti alla prima crisi economico-sociale insorgerebbero contro i dominanti. La borghesia deve quindi operare quotidianamente una distorsione della realtà.
Fin dall’asilo, poi alle scuole e poi ancora nelle università, il sistema deve insegnare che non esiste nessun sfruttamento, che i padroni operano per il bene comune, che la patria protegge e va protetta, che il sistema in cui viviamo è il migliore possibile, che il socialismo è un’utopia, che Marx, Lenin e i comunisti sono superati. Il tutto poi quotidianamente viene ripetuto senza sosta da politici, tv e giornali, dagli esperti, dalle chiese, ecc. Attraverso questo quotidiano lavaggio del cervello il lavoratore viene fatto convinto che questa sia la vera realtà, che non esista altro.
Con questo metodo coercitivo le varie imprenditorie nel mondo riescono a trascinare i proletariati in tutte le vicende riguardanti i loro spregevoli interessi borghesi. Ne consegue che se una borghesia regionale martella la popolazione su determinati punti, diventa facile coinvolgere e farsi seguire dalla massa.
E’ questo che sta accadendo oggi nei referendum in Catalogna e Kurdistan, e ieri nei Paesi Baschi, Irlanda, Palestina. La nostra analisi conferma essere lo stesso metodo coercitivo di strumentalizzazione, di manipolazione.
Gli interessi di classe dei lavoratori in realtà sono ben altri.
Nelle manifestazioni in Catalogna e in Kurdistan mancavano le manifestazioni con le bandiere rosse degli internazionalisti contro ogni nazionalismo e contro ogni governo, sia spagnolo che catalano.
“Il lavoratore non ha patria” sottolineava con scientificità Marx. Che il lavoratore venga sfruttato in Catalogna o in Spagna, che venga sfruttato in Kurdistan anziché in Iraq, la sua situazione non cambia di una virgola. E’ evidente. Anzi, queste lotte (o guerre) regionali nazionaliste si traducono in un grande svantaggio per la classe proletaria: mette lavoratori catalani contro quelli spagnoli, quelli curdi contro quelli iracheni, e così via.
Contro il padronato internazionale sfruttatore il lavoratore ha tutto l’interesse ad unirsi assieme agli altri lavoratori delle altre nazioni per rafforzare la sua lotta. Ha tutto l’interesse a superare le barriere nazionali, che storicamente sono state erette dalle borghesie in lotta tra loro per difendere i loro privilegi, i loro profitti. Con la creazione di nuove nazioni regionali ovviamente, i lavoratori vengono ulteriormente divisi, indeboliti.
Come parte della classe lavoratrice internazionale siamo perciò decisamente contro ogni coinvolgimento nazionalista delle borghesie regionali, oltre che nazionali.
“I LAVORATORI NON HANNO PATRIA !” per l’appunto.
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-SCONTRO TRA BORGHESIE-
UNA CINA MAI STATA SOCIALISTA, MA SEMPRE CAPITALISTA
CINA:“LA NUOVA VIA DELLA SETA”
IL NOME CHE LA BORGHESIA IMPRENDITORIALE DI STATO CINESE HA DATO ALLA SUA POLITICA ESTERA.
L’IMPERIALISMO CINESE NON E’ ANCORA PRONTO PER SFIDARE APERTAMENTE L’IMPERIALISMO AMERICANO, PERCIO’ CON “LA NUOVA VIA DELLA SETA” CERCA L’ESPANSIONE ESTERA APPOGGIANDOSI ALLE BORGHESIE EUROPEE COSI’ DA NEUTRALIZZARE LE REAZIONI AMERICANE.
E’ ovvio che il management dirigenziale cinese non ha niente a che spartire con il comunismo. Ed è altrettanto ovvio che il camuffamento da “comunisti” serve solo per estorcere più plusvalore ai lavoratori.
Con “La nuova via della seta” l’imperialismo del dragone avvia il suo nuovo corso di politica estera per potersi espandere nei mercati in nuove zone di influenza dove esportare le sue eccedenze di capitale finanziario e trarre un lauto profitto. Non può farne a meno. Essendo però una giovane borghesia emergente, se vuole arraffare nuove zone, come succede in queste situazioni di scontro tra predoni imperialisti, deve sfidare le attuali potenze borghesi dominanti. Questo di solito provoca lo scontro.
Questo, il problema di un “possibile conflitto”, all’establishment borghese di Pechino sembra però essere molto chiaro, avendo studiato le vicende del passato dove l’ascesa di borghesie come quella tedesca o nipponica ha avuto un percorso bellico. L’intenzione del management cinese è, per quanto possibile, evitarlo, come spiega Chen Shi Lei dell’agenzia di stampa “Xinhua”: “Nella storia l’ascesa di nazioni potenti [Germania, Giappone, n.d.r] si è realizzata attraverso l’espansione e l’aggressione, ma oggi l’ascesa della Cina è un’eccezione pacifica”.
Infatti nei decenni trascorsi di forte crescita economica, la politica estera cinese definita “di basso profilo”, cioè di restare nell’ombra, era la traduzione pratica di questa ascesa di“eccezione pacifica” come politica di non urtare le attuali potenze dominanti nei loro interessi. Un “eccezione”, appunto.
Ma oggi, avendo raggiunto un considerevole peso economico (la Cina è la seconda potenza mondiale a ridosso a quella americana) e avendo un forte eccesso di capitale finanziario (ricavato naturalmente dal forte sfruttamento dei lavoratori) da investire all’estero, il “basso profilo” del passato non è più impossibile, è costretta ad uscire allo scoperto e adottare politiche di investimento estero ufficiali, chiare.
La conseguenza diventa perciò porsi in una situazione ad alto rischio di urto contro gli imperialismi concorrenti. Con ”l’eccezione pacifica” che Chen Shilei sottolinea, possiamo anche interpretare nelle parole non dette, che la borghesia cinese non si sente ancora pronta per uno scontro diretto frontale. Chen fa capire che Pechino, in sostanza, ritiene non essere ancora così forte da uscire vincitore da un eventuale reazione occidentale con conflitto militare. Di conseguenza “La nuova via della seta” è l’escamotage politico per cercare una possibile espansione imperialista in intesa con i concorrenti.
Come si traduce nella pratica tutto questo? Attraverso Meeting internazionali, Convention, incontri più a meno segreti, il governo di Pechino, sta offrendo alle potenze occidentali come Europa, Giappone, ma anche agli Stati Uniti, investimenti congiunti assieme all’estero, in zone in forte sviluppo come Africa, Sud America, Area del Golfo e Asia. All’offerta cinese le varie imprenditorie internazionali stanno rispondendo con entusiasmo pregustando i forti guadagni che ne deriveranno. Le fonti specializzate parlano di “grande successo” dell’iniziativa di Pechino. Una mossa quindi studiata molto bene da parte cinese. Ecco come la presenta la Wang Wen, rettore esecutivo dell’istituto Chongyang, sul giornale Global Time, riferendosi al lavoro del suo istituto: “La Cina è pronta a tutto ora. Ha moti Think Tank [serbatoi di pensiero ndr]. Noi pensiamo per il nostro governo e prepariamo ogni possibilità. E la nostra politica estera è molto efficace”.
Sarà certamente molto efficace nello scacchiere del gioco borghese, ma è sempre una politica che si muove nelle acque tempestose della concorrenza imperialistica, dove da un momento all’altro tutto potrebbe succedere. Vedremo effettivamente come l’imperialismo americano reagirà a fronte di questo importante movimento politico. Anche l’idea cinese di mettere in programma la costruzione di altre 5 o 6 portaerei oltre alle 2 in possesso (gli americani ne hanno 10 in attività e 3 in costruzione) butta benzina sul fuoco. E’ un aumento considerevole di armamento che potrebbe seriamente impensierire le potenze occidentali, oltre a quelle regionali asiatiche che temono una Cina egemone.
L’instabile e scostante politica estera del nuovo presidente Trump inoltre sta aiutando inconsapevolmente non poco i cinesi. Poiché la polemica tra Europa e L’Amministrazione americana sul “Clima” e su ”l’accoglienza immigrati” sta dando la possibilità a Pechino di inserirsi tra i due e appoggiare i governi europei nella controversia contro Washington, incoraggiandoli. L’effetto è una presa di distanza tra Usa e Europa e un avvicinamento tra Europa e Cina. Quello che i cinesi stanno cercando, così da ottenere un appoggio europeo all’espansionismo della “Via della seta”.
E’ nella consapevolezza marxiana che la società è in movimento perpetuo, senza sosta. Già negli anni ‘50 gli attivisti leninisti scrivevano che le nazioni asiatiche, tra cui la Cina di Mao capitalista, allora da tutti acclamata come “faro del comunismo”, e che allora non aveva nessun peso sul piano mondiale, ne economico ne politico, si sarebbero sviluppate capitalisticamente fino a diventare le maggiori potenze mondiali. Allora nessuno dava retta a queste tesi e forse qualcuno anche se la rideva. Oggi questo sta diventando realtà (e nessuno ride più).
Ed al marxismo è altrettanto chiaro che nel contesto attuale l’imperialismo americano è superallarmato per lo sviluppo accelerato del forte concorrente asiatico. E che prima o poi reagirà al nuovo corso. Adesso i grandi gruppi imperialisti capital-finanziari americani sono occupati nel gestire il “loro presidente” inesperto, ingenuo e instabile nel carattere. Ma appena risolto il problema “presidente” si ripresenteranno sulla scena mondiale più determinati e decisi che mai, come sempre.
E lo scontro tra borghesie briganti proseguirà, duro, senza esclusione di colpi.
VENEZUELA: L’IMPOSSIBILE POPULISMO DAL BASSO di CHÀVEZ e MADURO IN BALIA DEL PREZZO DEL PETROLIO
L’imprevedibile calo del prezzo del petrolio da 110 dollari al barile del 2014 agli attuali 50 ha portato l’economia venezuelana sulla soglia del baratro economico e politico. Come conseguenza si è creato uno contesto di scontri di piazza senza sosta. La situazione è però esplosa dopo 29 marzo di quest’anno quando la Corte suprema ha deciso di esautorare il parlamento dei suoi poteri, con l’opposizione che gridava al “colpo di stato”.
In Venezuela l’esportazione di petrolio rappresenta il 95% del totale delle sue esportazioni, in pratica il paese vive su questo. In tale condizione economica, la scena politica è caratterizzata dallo scontro di due grossi schieramenti che si contendono i profitti dell’oro nero: da una parte il fronte del populista Maduro legato all’industria nazionalizzata dell’estrazione del petrolio, con i cui proventi mantiene una vasta casta privilegiata militare (nell’attuale governo Maduro su 29 ministri ben 10 sono generali o ex militari) che gli garantiscono la tenuta del potere. I profitti petroliferi permettono poi al presidente il mantenimento di un’estesa clientela statale come serbatoio di voti fissi e l’elargizione di grosse agevolazioni ai contadini poveri e ai sindacati. Dall’altra parte lo schieramento delle banche e delle industrie private che con le loro tv e giornali dirigono la piccola borghesia commerciale delle città e grosse fette di proletariato insoddisfatto dalle penurie di generi alimentari e medicinali causate dalla disastrosa situazione economica. Per mantenere le clientele che gli garantiscono il potere, il governo Maduro ha dovuto, per contrastare la diminuzione delle entrate dovuto al calo del prezzo del petrolio, stampare una marea di carta moneta, facendo schizzare l’inflazione dal 20 al 700%.
I due schieramenti si scontrano anche su due posizioni ideologiche differenti. Il populista Maduro si identifica come “socialista nazionalista” (si pensi alla farsa: si autoproclama “socialista” ma per stare in piedi ha bisogno dell’appoggio di militari capitalisti, privilegiati e corrotti). Chiama “socialiste” anche le statalizzazioni delle imprese e le numerose cooperative e comuni dei contadini. E’ amico dei russi, dei cinesi e di Cuba e attacca in continuazione gli Usa definendoli imperialisti egemonizzanti.
Dall’altra lo schieramento autodefinitosi “democratico” sostenuto dai grandi gruppi privati che auspicano invece un maggior legame con gli Usa.
In realtà, al di la degli slogan da piazza, suona strano leggere le fonti internazionali dove si afferma che il primo partner commerciale del Venezuela sono gli Stati Uniti dove vengono esportati 800.000 barili di grezzo al giorno e come secondo partner la Cina con 600.000 barili e che questo legame commerciale preferenziale con gli Usa era presente ai tempi di Chàvez e continua ora con Maduro. Questo significa che i governi che si sono susseguiti in Venezuela da Chàvez a Maduro è su queste due gambe commerciali che hanno sempre camminato e che se una delle due venisse a mancare, per la borghesia venezuelana di entrambi i fronti sarebbe la catastrofe. In altre parole, anche se Chàvez prima e Maduro adesso continuano ad accusare pubblicamente gli Stati Uniti di sabotare il Venezuela, in realtà dietro le quinte gli affari reciproci tra i due governi vanno a gonfie vele. E se l’opposizione “democratica” che accusa Russia e Cina di essere il diavolo dovesse un domani arrivare al potere, senza l’interscambio con la Cina il giorno dopo farebbe bancarotta.
Realisticamente, in un cambio di governo dove Maduro venisse sostituito dagli attuali oppositori, quello che verrebbe veramente modificato sarebbe solo la redistribuzione interna dei profitti derivati dall’esportazione dell’oro nero. Certamente non verrebbero tolti i privilegi alla casta militare (che garantisce la stabilità) ma sicuramente verrebbero tolti i favori alle clientele chàviste inserite nello stato e nelle industrie statali (si pensi che Chàvez quando nel 1999 arrivò al governo, il Pdvsa - l’ente petrolifero di Stato venezuelano- aveva 20 mila dipendenti, oggi con una produzione che è quasi di un terzo inferiore a quella di 15 anni fa ha bisogno di 120 mila dipendenti) e sarebbero tolte le agevolazioni ai contadini, ecc, il tutto a favore delle aziende private e naturalmente delle clientele dello schieramento “democratico”.
Nella lotta tra i due schieramenti, l’opposizione è riuscita a vincere le elezioni del Parlamento nel 2015 grazie al trucchetto di far mancare, nelle settimane precedenti le elezioni, i generi alimentari nei supermercati, per poi farli riapparire nei giorni seguenti. Dai contrasti politici che ne sono seguiti, tra un’opposizione che ha la maggioranza in Parlamento contro un Maduro presidente e con i mano il governo, quest’ultimo come reazione ha indetto il 30 luglio di quest’anno le elezioni dell’Assemblea Costituente (previsto dalla Costituzione) vincendole, che gli permette di governare anche senza l’appoggio del parlamento. Questo, come detto, è stata la scintilla che ha fatto gridare l’opposizione “al golpe” e ha fatto scattare escalation delle manifestazioni di piazza con proteste e violenze.
Gli osservatori internazionali prevedono che lo scontro sociale proseguirà, e che il governo Maduro potrebbe anche cadere.
In questo contesto, com’è ovvio, gli imperialismi internazionali cercano di inserirsi per profittare della situazione a proprio vantaggio. Trump si è subito dato da fare per aumentare le sanzioni contro Caracas. Il giornale di Pechino “Global Time”, che riporta in inglese agli occidentali le decisioni del governo della borghesia statale cinese, riferisce che il governo cinese “ha ammonito il governo di Washington di intromettersi negli affari interni delle nazioni nel mondo”, intendendo quanto sta avvenendo in Venezuela e in Corea del Nord. Vedremo se l’ammonimento di Pechino avrà seguito. Il giornale riferisce inoltre che il governo cinese prevede tuttavia “un maggior coinvolgimento americano nella vicenda venezuelana”.
Vorremmo fare un appunto politico sulle posizioni cosiddette “socialiste” di Chàvez e Maduro.
Tutta una serie di organizzazioni radicali “comuniste o socialiste” vedono e accreditano nell’espansione delle cooperative e delle comuni autogestite contadine in Venezuela segni di “socialismo”. Per noi: un abbaglio, niente di più errato. Anche le cooperative e le comuni, con tanto di soci, bilancio, profitti e dividendi, appartengono al variegato mondo capitalista. Si pensi solo che le cooperative, nell’immediato dopoguerra, nel sud dell’Italia, venivano incentivate e gestite nella lotta contro i latifondisti dai preti (il movimento don Sturzo) e con ottimi risultati. Niente “segni di socialismo” quindi, il socialismo è tutt’altra cosa
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UNA VITA SEMPRE PIU’ DURA PER I GIOVANI
Il padronato fa il suo mestiere: guadagnare sempre più soldi. Naturalmente a scapito dei giovani e dei lavoratori.
I parlamenti devono occuparsi che questo avvenga.
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I dati parlano chiaro: per i giovani la situazione lavorativa è in peggioramento costante. Non c’è scampo. Il posto di lavoro fisso, dove poter programmare una vita dignitosa tanto sbandierata dai sostenitori di una società giusta basata sulla democrazia positiva, dove poter pianificare il farsi una famiglia senza aver l’incubo che per un non nulla trovarsi licenziati, diventa sempre più un miraggio, una speranza che si allontana sempre più. Cercano di far convinti che questo sia positivo, ma è un falso, è un imbroglio (naturalmente senz’altro positivo per i ricchi imprenditori).
“Il diritto alla vita”, “il diritto ad una vita degna”, il sogno che “l’umanità ha superato la fase dei problemi ed è entrata nell’era del benessere” cominciano a suonare sempre più come frasi vuote, artificiali, mezzi imbrogli, frasi per gli ingenui.
Anche altre espressioni come “pace”, “concordia tra i popoli”, “sovranità popolare”, “voto”, si stanno lentamente logorando. Le guerre si susseguono una dietro l’altra e la frase “esportare la democrazia” diventa sempre più una parola elastica, retorica, un contenitore alla bisogna, dove ogni borghesia ci inserisce quello che vuole a seconda degli interessi in campo e dove il vocabolo “esportarla” è solo un pretesto per evidenti interessi nascosti.
La vita in generale sta prendendo sempre più una piega pessimista. Le ombre del passato sembrano stiano riemergendo angosciosamente. Quello che veniva definito “il vecchio capitalismo” sembra si stia riimponendo: i ricchi diventano sempre più ricchi e la popolazione sta perdendo sempre più diritti.
E per i giovani, che futuro si presenta? Che sarà di loro?
Come detto, il posto di lavoro fisso non è più una certezza, ma non solo, anche una paga decente e raggiungere la pensione sta diventando un sogno anche qui in Germania. Come riporta la foto sopra di apertura, nel 2015 i posti di lavoro a tempo determinato sono stati il 41%, per poi salire al 45 %.nel 2016 E nel 2017, nel 2018, quanti saranno? Aumenteranno ancora?
Succederà come in altri paesi europei, come per es in Italia, dove i giovani che vengono assunti a contratto a termine sono arrivati ormai a quota 95% del totale? Un disastro!
L’imprenditoria europea, che si nasconde sotto il nome “Unione Europea” sta spingendo a più non posso i governi europei di tutti i colori perché ai lavoratori e ai giovani vengano tolte lentamente tutte le conquiste ottenute con le poderose lotte degli anni ’60. Sotto attacco padronale-governativo sono i salari, il posto fisso, i contratti nazionali, le pensioni, i ritmi di lavoro, l’aumento delle tasse sullo stipendio e in generale. Un attacco congiunto a 360 gradi, come ben vediamo.
Come tutti possiamo verificare, mentre le condizioni basilari per il sostentamento delle famiglie peggiorano continuamente, i dati riportati dalle grandi aziende e banche parlano di guadagni record. Contemporaneamente le campagne elettorali vengono indirizzate ad occuparsi di trascinare gli elettori su diversivi come, la regolamentazione degli immigrati (CDU-CSU, AFD), o parole generiche come più giustizia sociale, eguaglianza, ecc. (SPD, Linke, Verdi).
E’ questo quello che la società “del benessere” può offrire?
I parlamenti, i governi, sono le mani lunghe, nascoste, della ricca borghesia padronale. Le due classi, ricchi e proletariato, rimangono sempre e più che mai una di fronte all’altra, contrapposte. I giovani, i lavoratori si possono solo contrapporre alla classe sfruttatrice con dure ed estenuanti lotte. Non c’è via d’uscita, serve l’aiuto della scienza marxista.
“Bollettino economico BCE” : UN DOCUMENTO CHE CI ILLUSTRA DA CHI DIPENDE LA POLITICA.
LE INDUSTRIE CHIEDONO,
I GOVERNI EUROPEI ESEGUONO
GLI INDUSTRIALI CHIEDONO: PIU’ LIBERTA’ di LICENZIARE, PIU’ CONTRATTI A TERMINE, BASSI SALARI, POSTICIPAZIONE DELL’ETA’ PENSIONABILE, PIU’ TASSE PER I LAVORATORI, ECC.
Il Bollettino economico della BCE n°6 - 2017 di settembre (EZB Wirtschaft Bulletin: n 6 - 2017 September) è il documento ufficiale della Banca Centrale Europea dove da alcuni anni vengono rese pubbliche le tematiche che all’interno dell’istituto vengono discusse.
Per chi come noi è interessato a capire come realmente funziona la politica questo è un documento di estremo interesse. Leggendolo attentamente si capisce chiaramente quanto sia attuale l’analisi di Marx quando afferma che nella società capitalistica la politica non è indipendente come si vuol far credere, ma sia sottomessa agli interessi economici borghesi.
Lontano dagli occhi proletari, il Bollettino BCE, in “Riquadri” - capitolo n° 5 - con titolo “Necessità di riforme strutturali nell’area euro” troviamo in pratica la politica che tutti i governi europei stanno conducendo.
In questo sezione il Bollettino riporta l’esigenza espressa da 55 grandi imprese europee dove richiedono all’Europa “maggiore flessibilità”. Quando si parla di “flessibilità” loro intendono la possibilità di poter licenziare senza tanti intoppi, un’estensione dei contratti a termine, lavoro precario più esteso, più minijob, maggiori contratti (…) dei lavoratori dipendenti, salari d’ingresso molto più bassi, posticipazione dell’età pensionistica, scioglimento dei contratti nazionali per più contrattazione aziendale dove il padrone è molto più forte, e così via.
Gli industriali si congratulano che interventi in questa direzione siano già stati realizzati in paesi come Spagna, Germania e Italia. Ma non basta, dicono. Si è solo all’inizio e richiedono che i governi europei “facciano molto di più” in questo ambito.
L’istanza “flessibilità” viene posta in primo piano tra le richieste espresse dalle imprese, in secondo ordine viene poi la formazione tecnologica dei giovani, la detassazione della parte di stipendio pagata dal padrone (la quale venga spostata sulla tassazione generale), la riduzione del peso della burocrazia, il miglioramento delle reti infrastrutturali, ecc.
Le imprese affermano di aver avuto un “impatto positivo” sulla loro attività grazie alla “flessibilità” finora introdotta. In altre parole, grazie ai più facili licenziamenti in Europa, all’estensione dei contratti a termini, del lavoro precario, ai salari d’ingrasso più bassi, ecc. i guadagni delle aziende hanno potuto godere di aumenti sensibili. Infatti è di attualità che in tutta Europa le grandi industrie dichiarano profitti record.
Ma si lamentano che il processo di riforma “flessibilità” in Europa procede “troppo lentamente”. Richiedono che i politici, i governi (senza distinzione politica) devono fare molto di più, devono legiferare più velocemente e viene portato come esempio quanto avviene in Spagna.
Le imprese sottolineano come sia necessario un maggior coordinamento europeo sovranazionale di sorveglianza del processo “precarietà”. In altre parole la BCE (Banca Centrale Europea) deve essere più attiva nel dirigere i governi su questo indirizzo.
Detto questo, pensiamo non ci sia bisogno di ulteriori nostri chiarimenti sul come procede la politica nella realtà dietro le quinte.
E’ cronaca di questi giorni degli enormi scioperi in Francia contro l’estensione del lavoro a termine e licenziamenti che il governo Macron vuole introdurre. GLI INDUSTRIALI ORDINANO, I GOVERNI ESEGUONO.
In una realtà che funziona così non ci si può altro che aspettare un futuro in tutta Europa dove la piaga dei licenziamenti, dei contratti a termine, ecc. si estenderà.
Lo ripetiamo in continuazione, che al di la delle sigle politiche dei governi che si alternano, il futuro dei giovani europei è segnato. In peggio.
Siamo del parere che solo una controffensiva di lotte di sindacati europei uniti abbiano la forza di contrastare l’offensiva UE.
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100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA
PERCHE’ SIAMO LENINISTI
E NON STALINISTI
Gli insegnamenti della rivoluzione
“ Rivoluzione/controrivoluzione in Russia: un’esperienza, sia nel bene che nel male, piena di insegnamenti per noi rivoluzionari”. “Ci chiarisce una miriade di aspetti come una rivoluzione può essere condotta, ma anche come una controrivoluzione può avvenire.” Der kommunistische Kampf – luglio 2017 |
COME UNA RIVOLUZIONE DEVE ESSERE CONDOTTA - La società capitalistica è una società di passaggio esattamente come le società che l’hanno preceduta. E’ una società che presenta ancora una quantità enorme di contraddizioni. Come le precedenti forme sociali sviluppa al suo interno la classe che ne segnerà il suo superamento. Le forti inconciliabilità intrinseche permettono particolari situazioni in cui viene resa possibile la rivoluzione.
Come avvenuto per la rivoluzione russa, le insurrezioni possono (devono) essere accuratamente preparate nei lunghi periodi non rivoluzionari dove vige ancora un relativo benessere. Poi le inevitabili situazioni catastrofiche provocate dagli affari creeranno i presupposti per l’insurrezione.
Su queste premesse si era basata e organizzata con successo la rivoluzione russa, e la prospettiva e l’insegnamento di allora sono tutt’ora più che mai valide.
PROBLEMA CONTRORIVOLUZIONE – La rivoluzione che per prima insorge serve per aprire la strada alle successive ulteriori rivoluzioni. Per raggiungere il tanto cercato socialismo, cioè la società superiore con l’eliminazione della compravendita - causa di tutte le contraddizioni ora esistenti - e la sua sostituzione con la distribuzione dei prodotti, una sola rivoluzione assolutamente non basta. Per ottenere il socialismo con l’equa suddivisione dei beni, il mercato rivoluzionario proletario conquistato deve essere così esteso da diventare completamente autonomo nella produzione dei prodotti, così da eliminare il commercio interno e l’acquisto di merci necessarie da altre nazioni capitalistiche.
Quando la rivoluzione non è seguita immediatamente da altre, si crea una situazione d’attesa, con un proletariato al potere che deve gestire un’economia ancora capitalistica anche se statalizzata. Vale a dire che, in questa situazione di mercato limitato, i lavoratori al potere, come detto, sono comunque costretti a mantenere il commercio dei prodotti, sia interno che esterno. Questo significa, volenti o no, ancora capitalismo con conseguenti profitti, salari, banche, concorrenza, ristrutturazioni, ecc. In questa temporanea situazione di passaggio non è possibile modificare altro. Questo è anche quanto prevedevano i grandi maestri del comunismo Marx ed Engels …
Marx: “Tra la società capitalistica e la società socialista vi è un periodo di trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio in cui lo Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato”. (Marx: “Critica al programma di Gotha”)
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… e questa è stata la situazione in cui si è trovato obbligato il proletariato russo al potere dopo la rivoluzione.
E’ in questa situazione d’attesa, “transitoria”, una situazione comprensibilmente paurosamente difficile, dove i rivoluzionari vengono attaccati dall’esterno dalle borghesie di tutto il mondo, e all’interno dai nemici che manipolano le oggettive difficoltà, che il pericolo di racchiudersi nella difesa della propria condizione diventa reale, oggettivo. In altre parole, è in questa difficile situazione di passaggio che può essere messo erroneamente in primo posto la difesa della propria rivoluzione dimenticando l’organizzazione della rivoluzione internazionale. Certamente la difesa della propria rivoluzione svolge un ruolo primario nei compiti dei rivoluzionari e del proletariato al potere, ma la priorità la esige senz’altro l’organizzazione delle altre rivoluzioni, in modo che se la rivoluzione per un motivo o per l’altro dovesse cadere, la rivoluzione internazionale può proseguire attraverso le rivoluzioni degli altri paesi.
Lo stalinismo, alla morte di Lenin, approfitta subdolamente delle oggettive difficoltà della situazione di attesa, per presentarsi equivocamente come difesa prioritaria e solo della rivoluzione russa, mettendo in disparte e addirittura sciogliendo l’Internazionale Comunista, strumento di organizzazione per la rivoluzione internazionale dei partiti socialisti nel mondo, stravolgendo così la strategia comunista. Con questa distorsione com’è ovvio, il fine diventa non più la rivoluzione internazionale, la sola che può permettere la società diversa, ma il nazionalismo russo, ossia il capitalismo russo. Non solo, ma stravolgendo tutti i criteri economici, verrà spacciato per “socialismo” l’economia capitalistica statalizzata russa, affermando contro ogni logica che il “socialismo è possibile adesso anche in un paese solo”.
L’alleanza con Hitler prima, e con le potenze imperialistiche occidentali dopo, non sono altro che la naturale conseguenza di un’economia russa capitalistica alla ricerca del profitto con qualsiasi mezzo, come ogn'altra nazione capitalistica-imperialistica.
Siamo con Lenin, Trotzkij, Zino’vev, Kamenev, e gli altri grandi rivoluzionari che al contrario hanno combattuto e combattono per la rivoluzione internazionale.
E’ nostro compito oggi proseguire nella costituzione dell’organizzazione rivoluzionaria in tutti i paesi. E’ giusto imparare dalle vittorie, ma soprattutto bisogna imparare dalle sconfitte.
RIPROPONIAMO AI LETTORI, VISTO L’ANNIVERSARIO DELLA RIVOLUZIONE, QUESTO TESTO DI BUCHARIN, CHE CI SEMBRA POSSA COMPLETARE L’ARGOMENTO “RIVOLUZIONE”.
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N. Bucharin:
“La teoria del materialismo storico” - 1921
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Le rivoluzioni nelle società sono l’equivalente
dei salti di sviluppo nella natura
“Vediamo in tal modo che è del tutto ridicolo negare i salti e parlare solo di saggia gradualità. In effetti anche nella natura i salti si riscontrano assai spesso e la frase sulla natura che “non fa salti” è solo l’espressione della paura dei “salti” nella società, cioè l’espressione della paura delle rivoluzioni.
La negazione del carattere contraddittorio dello sviluppo si basa nelle dottrine borghesi sulla paura della lotta di classe e sulla dissimulazione delle contraddizioni sociali. Esattamente come la paura dei salti si basa sulla paura delle rivoluzioni. Tutta la sapienza si riduce a tale ragionamento: nella natura non ci sono salti, e da nessuna parte si possono essere salti. Quindi proletari: non osate fare rivoluzioni!
Tuttavia qui è solo evidente con straordinaria chiarezza, come la scienza borghese entri in contraddizione con le più fondamentali esigenze scientifiche. Infatti nella società sanno tutti che c’è stata la rivoluzione inglese? E se appunto nella società questi salti ci sono stati e avvengono, affare della scienza non è negarli, (cioè sfuggire alla realtà al riparo delle correnti), ma di capire questi salti, di spiegarli.
Le rivoluzioni nella società sono lo stesso che i salti nella natura. Esse non avvengono a “casaccio”: esse sono preparate da tutto il corso dello sviluppo precedente esattamente come l’ebollizione dell’acqua è preparata dal previo riscaldamento di essa, o come l’esplosione della caldaia è preparata dalla pressione crescente del vapore sulle sue pareti. La rivoluzione nella società è la sua riorganizzazione, la “trasformazione strutturale del sistema”. Essa risulta inevitabilmente come risoluzione della contraddizione della società e delle esigenze del suo sviluppo.
Come questo avviene [lo affronteremo – n.d.r.] più avanti.
Ora ci è necessario sapere solo una cosa: nella società come nella natura questi salti sono preparati dal corso precedente delle cose; o in altre parole, nella società come nella natura, l’evoluzione (lo sviluppo graduale) porta alla rivoluzione (al salto); ‘I salti presuppongono la trasformazione continua, e le trasformazioni continue portano a salti. Questi sono due momenti necessari di un unico e identico processo’ (Plechanov: “Kritica nasich kritikov “ - 1906).
E’ necessario considerare ciascuna forma della società nella sua genesi e nella sua necessaria scomparsa, cioè nella sua connessione con le altre forme. Ogni forma sociale non casca dal cielo. Essa è la conseguenza sociale dello stato precedente della società; spesso è difficile dimostrare esattamente i limiti dove finisce l’una, dove comincia l’altra forma della società; un periodo avvolge l’altro. In generale i gradi storici non sono grandezze fisse, immobili, del genere delle cose, sono processi, fluide forme vitali che si trasformano di continuo. Per capire bene qualunque di tali forme è necessario spiare le sue radici nel passato, cercare le cause della sua origine, tutte le condizioni della sua formazione, le forze motrici del suo sviluppo.
Ed esattamente lo stesso, è necessario esaminare le cause della inevitabile rovina di questa forma [sociale - n.d.r.], la direzione di movimento, o come si dice, le ‘tendenze (tendenza-inclinazione)di sviluppo ’, che portano all’inevitabile scomparsa di questa forma e preparano il suo cambiamento con un nuovo regime sociale”.
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100° ANNIVERSARIO della RIVOLUZIONE RUSSA
Punti fermi della scienza marxista
Riproponiamo qui al lettore un articolo tratto dalle dispense
“Teoria e pratica del marxismo” edito da “Lotta Comunista” nel 1996.
LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE (parte seconda)
… a organizzare militarmente la rivoluzione d’Ottobre. Gli avversari non se ne resero conto.
“Ma avvenne questo: il Comitato Militare Rivoluzionario, nell’organizzare la difesa, doveva mettere in movimento le masse degli operai e dei soldati, e queste masse –nella misura in cui vennero organizzate- vennero organizzate dai bolscevichi e andarono dietro a loro, che rappresentavano in quel momento, l’unica organizzazione di grandi proporzioni, cementata da una disciplina elementare e legata alle forze democratiche della capitale senza di loro il Comitato Militare Rivoluzionario sarebbe stato impotente, senza di loro avrebbe potuto tirare avanti solo con gli appelli e i fiacchi discorsi degli oratori, che avevano perduto da tempo ogni autorità. Con i bolscevichi il Comitato Militare Rivoluzionario aveva a sua disposizione, quale che fosse, tutta la forza organizzativa esistente degli operai e dei soldati” (Suchanov, “Cronaca della rivoluzione russa” – Editori Riuniti).
I bolscevichi sono diventati in pochi mesi i capi riconosciuti del proletariato russo. Questo dato di fatto, riconosciuto a malincuore dal menscevico Suchanov, non è frutto del caso, ma è il prodotto delle Tesi d’Aprile. Una profonda comprensione delle dinamiche sociali e storiche che alimentavano la lotta politica in Russia più un lavoro incessante, metodico capillare e paziente di chiarificazione di questa dinamica alle masse: così il partito minoritario e “isolato” di febbraio diventa, con la dinamica accelerata delle fasi rivoluzionarie, il rappresentante effettivo del proletariato con cui i partiti delle altre classi sono costretti a trattare.
Dopo l’avventura di Kornilov, ogni giorno che passa, rendendo più insopportabile la guerra e più evidente l’impotenza del governo provvisorio, lavora per il rafforzamento dei bolscevichi. Agli inizi ottobre Lenin ritiene che le condizioni per una insurrezione vittoriosa siano ormai mature. Nel partito bolscevico vi è chi ritiene di dover attendere la convocazione del Congresso panrusso dei Soviet per discutere in quella sede la possibilità di una rivoluzione.
Lenin che è ancora ricercato e in clandestinità, deve condurre una battaglia molto dura e difficile dentro il suo stesso partito per indurlo ad agire. Giunge sino a minacciare le dimissioni dal Comitato Centrale per sostenere le tesi che i bolscevichi, essendovi le condizioni, devono assumersi la responsabilità storica di rovesciare Kerenskij e consegnare il potere al Congresso dei Soviet.
Scrive Lenin in quei giorni: “Lasciar sfuggire l’occasione attuale e “attendere” il Congresso dei Soviet sarebbe un’idiozia completa o un vero e proprio tradimento. Un vero e proprio tradimento verso gli operai tedeschi, perché non potremo certo attendere l’inizio della loro rivoluzione!! Quando essa scoppierà, anche il Liber-Dan saranno favorevoli a sostenerla, ma essa non può cominciare fino a quando Kerenskij, Kisckin e consorti sono al potere. Un vero e proprio tradimento verso i contadini. Lasciar reprimere l’insurrezione contadina quando si hanno nelle proprie mani i Soviet delle due capitali, significa perdere e perdere meritatamente, tutta la fiducia dei contadini” (“La rivoluzione d’ottobre”Newton Compton).
Coerentemente con tutta la sua impostazione, Lenin non si preoccupa de socialismo in Russia, rinviando l’insurrezione si rischia di perdere l’appoggio dei contadini che dai bolscevichi si aspettano la terra (non il socialismo!), ma è l’occasione storica della rivoluzione in Germania che tiene il primo posto nei pensieri di Lenin.
Nel partito bolscevico la linea di Lenin passa, pure con qualche difficoltà soprattutto tra i dirigenti, e nella notte tra il 24 e il 25 ottobre scatta l’insurrezione. Quasi senza colpo ferire Pietroburgo cade in mano al Comitato Militare Rivoluzionario, il governo viene deposto e quando il Congresso dei Soviet si apre, trova all’ordine del giorno la questione del potere che il partito bolscevico gli consegna.
L’insurrezione è totalmente incruenta: “Dalle due del mattino, piccoli gruppi di soldati usciti dalle caserme occuparono a poco a poco le stazioni, i ponti, le centrali elettriche, il telegrafo, l’agenzia telegrafica. Gli junker non potevano e non sapevano resistere. Insomma le operazioni militari somigliavano più ad un cambio della guardia nei punti più importanti della città.
La debole difesa degli junker cedeva, al suo posto si sostituivano la valide guardie rosse” (Suchanov, “Cronache della rivoluzione russa” –Editori Riuniti).
Per chi si immagina che un’insurrezione di massa debba essere legata ad incendi, saccheggi e fiumi di sangue, la cosa è totalmente incomprensibile da alimentare la leggenda della rivoluzione d’Ottobre come colpo di stato militare o come congiura di palazzo. Ancora una volta a malincuore Suchanov è costretto a smentire i suoi compagni di partito. La domanda da porre è: con chi stava il proletariato? “qui non è possibile dare due risposte. I bolscevichi agirono con il pieno appoggio degli operai e dei soldati di Pietroburgo, condussero l’insurrezione impegnandovi tante (assai poche!) forze quante ne richiedeva il buon esito dell’azione” (Ibidem).
La perfetta preparazione spiega una vittoria solo apparentemente “facile”: “Tutto quel che si poteva fare era stato già fatto. Gli operai e i soldati erano già “agitati” e sufficientemente organizzati. Conoscevano le proprie parole d’ordine, i propri compiti, i propri capi. Con essi si lavorava quotidianamente, erano tutti uomini esperti, conosciuti, degni di fiducia. Le cellule, le sottosezioni, e le sezioni conoscevano i loro posti di lotta” (Ibidem).
Lo stesso Suchanov ricorda questo lavoro incessante e quotidiano: “Ehi, Volodarskij, -gridò qualcuno- ‘Dove, domani?’ – ‘Domani?’ rispose Volodarskij che scendeva con me. ‘Domani allo spolettificio’ … Si, i bolscevichi svolgevano un’attività ostinata, instancabile. Ogni giorno, continuamente, erano in mezzo alle masse, presso alle macchine delle fabbriche. Decine di grandi e piccoli oratori prendevano quotidianamente la parola a Pietroburgo, nelle fabbriche e nelle caserme. Le fabbriche e le caserme divennero dei bolscevichi perché essi vi erano sempre presenti, dirigendone la vita in ogni suo aspetto, piccolo e grande, e attirando su di se tutte le speranze, non fosse altro perché elargivano generosamente, magari fantasiosamente, le più dolci promesse. La massa viveva e respirava insieme ai bolscevichi, si lasciava guidare dal partito di Lenin e di Trotzkij” (Ibidem).
Le dolci promesse dei bolscevichi sono sostanzialmente due: la pace e la terra ai contadini. Il limite di Suchanov, cronista fedele, ma rivoluzionario mancato, è nella comprensione della strategia leninista.
La Russia si presentava come l’anello debole nella catena degli stati coinvolti nel massacro imperialistico, perché le masse volevano la pace e la terra, mentre la borghesia, costretta ad usare e persino ad armarle contro il putrefatto zarismo, non poteva concedere loro ne l’una ne l’altra. La pace e la terra potevano così diventare le chiavi con cui aprire la porta russa al dilagare della rivoluzione mondiale.
Dietro il successo dei bolscevichi non c’è solo l’attività incessante, c’è anche, come dice Trotzkij, un partito “eccezionalmente dotato di chiarezza politica”: “Un’epoca di grandi svolte storiche non ammette l’intervento dei guaritori. L’esperienza, anche se ispirata dall’intuizione, non è sufficiente. E’ necessario un metodo materialistico che permetta d cogliere, dietro le ombre cinesi dei programmi e delle parole d’ordine, il movimento reale dei corpi sociali” (Trotzkij – “Storia della rivoluzione russa”).
Solo un’assoluta fiducia in quel metodo permette ai bolscevichi di tener ferme le proprie parole d’ordine quando, solo pochi mesi prima dell’Ottobre, la furiosa campagna contro i bolscevichi tedeschi e traditori ancora faceva presa tra gli stessi proletari. La pace e la terra non sono solo dolci promesse, sono le cose concrete che solo una rivoluzione proletaria può garantire.
La pace e la terra sono l’oggetto dei primi due decreti del governo presieduto da Lenin. Nel proporre “ai governi e ai popoli di tutti i paesi” un armistizio e trattative per la fine immediata della guerra, il governo dei Soviet non rinuncia a rivolgersi particolarmente agli operai più avanzati di Inghilterra, Francia e Germania, che visti i contributi rispettivamente portati alla causa comunista: “… comprenderanno i compiti che stanno ora davanti a loro per la liberazione dell’umanità dagli orrori della guerra e dalle sue conseguenze, giacchè questi operai, con la loro attività molteplice, risoluta, devota, energica, ci aiuteranno a far trionfare la causa della pace e, ad un tempo, la causa della liberazione delle masse lavoratrici e sfruttate da ogni schiavitù e da ogni sfruttamento” (Decreto sulla pace”).
Annunciata dall’arrivo di Lenin alla stazione di Finlandia, la rivoluzione proletaria celebra la propria vittoria in Russia con l’assoluta novità del primo decreto governativo della storia che inneggi alla rivoluzione mondiale. Come dice Lenin, per la prima volta gli schiavi hanno fermato una guerra degli schiavisti.
ALLEGATO
RIPORTIAMO UN ARTICOLO DEL 2014 CHE A NOSTRO AVVISO PUO’ ESSERE D’AIUTO NEL CAPIRE LA DIBATTUTA VICENDA DELLA CATALOGNA
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LO STATO, ESPRESSIONE DELLA CLASSE DOMINANTE
“Der kommunistische Kampf” März 2014
Spesso ci facciamo la domanda: come mai i politici dicono una cosa e poi ne fanno un’altra? Perché le leggi colpiscono sempre i lavoratori e mai i ricchi?
Cerchiamo ad approfondire la questione.
Scrive Engels nell’Antidühring: “Lo stato moderno, qualunque ne sia la forma, è essenzialmente una macchina capitalistica, uno Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale”.
Per capire cosa ha che fare il comportamento dei politici e quanto dice Engels intervistiamo Mario B. attivista politico internazionalista in Italia che ci illustra la questione.
Dom :- trovi un collegamento con ciò che dice Engels e la società dei giorni nostri?
Risp: - “un po’ tutti si lamentano che i politici di dx, sx ecc. non sono coerenti. Penso che quando i lavoratori vanno a votare non abbiano ben chiaro come funziona il meccanismo. Se i politici, tutti, e sottolineo “tutti”, non sono coerenti il motivo c’è, non è un caso.”
Dom : -spiegati meglio.
Risp : -“I politici dicono sempre che loro lavorano per il bene della Nazione, del Paese, del popolo ecc.
Ma dobbiamo approfondire: chi sono la Nazione, il popolo? Certo, la Nazione, il popolo sono i lavoratori, il proletariato. Ma non solo: ci sono anche i ricchi, gli industriali, i magnati della finanza ecc.
Questi hanno un sacco di soldi e nella loro testa ne vogliono fare sempre di più. Se andiamo ad approfondire scopriamo che loro posseggono i giornali, le tv, le squadre di calcio e quant’altro.
I lavoratori invece non posseggono niente, non possono, col loro stipendio riescono, chi più e chi meno, a mantenere la loro famiglia, se è possibile si comperano l’appartamento ecc. Con i giornali e le tv i ricchi influenzano e dirigono l’opinione pubblica. E poi fanno grosse donazioni di denaro ai partiti. Ovviamente le donazioni non le fanno per niente, senza uno scopo.”
Dom: - E questo secondo te condiziona la politica?
Risp: -“I partiti, tutti, presentano i loro candidati da votare. In campagna elettorale promettono tante belle cose. Ma cosa sappiamo noi veramente di loro, delle loro vere intenzioni?
Ultimo esempio la campagna elettorale appena svolta in novembre: SPD e CDU-CSU si sono affrontati accanitamente uno contro l’altro. Dopo le elezioni si sono però messi assieme nella Grande Coalizione. Sapeva chi andava a votare, di dx o sx, che sarebbe poi finita così? Nessuno! Probabilmente i partiti si erano già messi d’accordo prima
Dom: - I politici tengono quindi nascoste le loro vere intenzioni?
Risp: -“Certo! Lo si vede bene quando arriva una crisi economica. Chissà perché, i politici di tutti gli schieramenti, in tutti i Paesi, chiedono sempre sacrifici solo ed esclusivamente ai lavoratori.
Non ai ricchi. Perché?
In Germania gli industriali, gli economisti, le tv, i giornali, i politici ecc, dicono che il Paese deve essere più concorrenziale. E come si traduce questo in pratica? Che i ricchi devono rinunciare alle mega ville o agli Yacht? No! I lavoratori dipendenti devono avere meno aumenti salariali, i giovani in futuro si dovranno accontentare di trovare posti di lavoro sempre meno fissi e più a tempo determinato e ai padroni viene data la possibilità di assumere persone per 3 mesi a stipendio bassissimo. E questo avviene non solo in Germania, ma ancor di più in Grecia, Spagna, Italia dove sono io, Portogallo ecc, in ogni Nazione, senza eccezione. I politici di tutte i Paesi si comportano tutti allo stesso modo!
A questo punto dobbiamo porci la domanda: ma da che parte stanno realmente? Ed ecco che l’affermazione di Engels: “Lo stato moderno,qualunque ne sia la forma,è una macchina essenzialmente capitalistica” ci da la risposta. Allo Stato appartengono senz’altro anche i partiti. Direi che l’affermazione di Engels del 1878 è più che mai attuale. Siamo nel capitalismo e politici lavorano senza dubbio per i ricchi. Naturalmente lo devono assolutamente negare!
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ALLEGATO
LE DOMANDE CHE PIU’ SPESSO CI VENGONO RIVOLTE
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Nell’ex DDR e Unione sovietica esisteva il socialismo? Indipendentemente da come una nazione si autodefinisce, che si definisca socialista o comunista, esiste un metodo scientifico semplice, riconosciuto in tutto il mondo, infallibile, per capire se in quel paese esiste veramente il socialismo o no. E il metodo consiste in questo: SE I PRODOTTI VENGONO VENDUTI PER TRARNE UN GUADAGNO allora siamo in regime di capitalismo, SE INVECE I PRODOTTI NON VENGONO VENDUTI, MA SUDDIVISI EQUAMENTE TRA LA POPOLAZIONE allora si parla di socialismo, comunismo. Perciò nell’ex Urss, ex DDr, ecc. e adesso Cina, Cuba ecc. dove i prodotti vengono venduti per trarne un guadagno, si parla, senza ombra di dubbio, di capitalismo. Perciò il crollo dell’ex Urss e dei suoi paesi satelliti non è stato il crollo del socialismo, perché in quelle nazioni non esisteva nessun socialismo, ma il crollo di alcuni paesi capitalistici, a capitalismo di stato per l’appunto. Si può senz’altro affermare che il “Socialismo in un paese solo” stalinista non è altro che una delle tante forme di “Nazionalismo borghese” .
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Ma che cos’è veramente il socialismo? Il socialismo sono i lavoratori al potere che gestiscono lo stato, dirigono le fabbriche e la società. I ricchi borghesi vengono espropriati delle aziende e mandati a lavorare ricevendo uno stipendio uguale a tutti gli altri lavoratori. Nel socialismo la produzione non viene più venduta, commercializzata come succede adesso per trarre profitto, ma nella nuova organizzazione sociale, i prodotti vengono suddivisi tra la popolazione per il benessere comune seguendo il criterio “da ogn’uno secondo le sue capacità, ad ogn’uno secondo i suoi bisogni”.
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La rivoluzione è possibile? La società capitalistica presenta un’enormità di contraddizioni visibili a tutti e nel suo sviluppo procede a cicli in cui si alternano lunghi momenti in cui la rivoluzione non è possibile, a corti ma intensivi momenti, in cui la rivoluzione è possibile. Nei lunghi cicli di espansione con relativo benessere, in cui le contraddizioni non sono così acute e sono relativamente limitate, la borghesia che domina la società può senza grossi problemi controllare il proletariato. Ma ben diversa si presenta la situazione quando arrivano i corti ma particolarmente intensivi momenti in cui gli affari producono crisi acutissime con guerre. In queste situazioni il proletariato viene portato a condizioni estreme con immani distruzioni , fame, innumerevoli morti. E’ in queste situazioni, come ben visto da Marx e confermato più volte dalla storia, che si creano le condizioni materiali perché il proletariato in massa possa reagire contro la propria borghesia, combattere e arrivare alla rivoluzione.
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Ma se le masse sono così apatiche, com’è possibile la rivoluzione? Il capitalismo si muove a cicli. Non bisogna farsi ingannare dal momento in cui si vive. Certo, adesso è così, viviamo in un momento di relativo benessere e la gente non pensa certo alla rivoluzione, questo è normale. Ma non è sempre stato così e non sarà certo sempre così. Chi si interessa di politica, a chi piace la politica, deve avere la consapevolezza profonda che la società capitalistica è in continuo movimento: lunghi momenti di espansione con relativo benessere che si alternano a corti, ma intensivi momenti, di crisi, anche molto gravi, che si possono trasformare in guerre. Tutto questo non dipende dalla volontà delle persone, ma dal movimento oggettivo del sistema affaristico. La gente comune queste cose non le conosce, ma noi che ci interessiamo di politica, le dobbiamo conoscere. Alla gente comune, che adesso sta vivendo un lungo momento di benessere, sembra impossibile che possano ritornare ancora momenti terribili ed è normale che pensi che la situazione non si modificherà mai più in negativo e rimarrà sempre così. Ma noi marxisti scientifici, esperti del ciclo capitalistico e quindi di realtà, sappiamo benissimo che il mondo degli affari è controverso e orribile e che causerà ancora situazioni terribili. E’ il ciclo capitalistico individuato a suo tempo da Marx e da Engels e confermato mille volte dalla realtà. E noi sappiamo benissimo che la gente oggi è tranquilla e non pensa alla rivoluzione e ad una società superiore, semplicemente perché la situazione è tranquilla, ma se la situazione cambiasse e si modificasse , si esasperasse, anche le persone si modificheranno e una volta arrivati all’ esasperazione cominceranno in massa a pensare alla società superiore. E quello sarà il momento della rivoluzione! Esattamente come hanno fatto a suo tempo i bolscevichi con successo.”
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Perché non siete in parlamento? La grande borghesia industriale e finanziaria, che è una piccolissima minoranza della popolazione, l’1%, ha l’enorme problema di controllare la gran massa del proletariato, che in alcune nazioni arriva ad essere anche l’85% della popolazione attiva. Per arrivare a questo enorme controllo ha bisogno di strumenti adeguati. I media, cioè i giornali e le tv e poi le scuole, le università, il clero, ecc. svolgono egregiamente questo compito. Ma lo strumento migliore, per eccellenza, viene svolto dal Parlamento. Il parlamento serve al padronato per dare l’impressione al proletariato attraverso il voto, di poter decidere sulla conduzione della vita politica ed economica del paese, di aver un ruolo. Il trucco, il gioco di prestigio dei ricchi nell’uso di questo strumento, consiste nel fatto di far votare il lavoratore facendolo scegliere su una vasta gamma di partiti dei quali il lavoratore conosce poco o crede di conoscere. Partiti che invece, chi direttamente, chi indirettamente, nascostamente, lavorano per il padronato e fan finta di polemizzare tra di loro. Dopo il voto, per il fatto che i parlamentari rimangono in carica 4 o 5 anni e in questo periodo non possono più essere ritrattati, il lavoratore che li ha votati non è più in grado di controllarli e quindi i partiti, slegati da chi li ha votati, possono prendere qualsiasi decisione, seguendo le indicazioni e gli interessi dei ricchi imprenditori da cui direttamente o indirettamente dipendono. Il lavoratore che con il voto è convinto di essere stato determinante, in realtà non svolge nessun ruolo. Gli è stato buttato solo fumo sugli occhi per attirarlo in una scelta che con i suoi interessi nulla ha a che fare.
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